La burrasca sollevata dal cosiddetto Qatargate rischia di trascinare nella melma, insieme agli eventuali singoli responsabili del sistema corruttivo che sembra emergere a Bruxelles, anche le Ong che lavorano nel campo dei diritti umani anche attraverso attività di advocacy – o di lobby, come le si chiama più spesso con un’accezione più malevola – grazie alle quali la democrazia ha compiuto però anche grandi progressi. Nell’occhio del ciclone in particolare si trovano le organizzazioni non governative No Peace Without Justice (fondata nel 1994 da Emma Bonino), il cui direttore generale Niccolò Figà-Talamanca è stato arrestato venerdì scorso, e Fight Impunity (fondata nel settembre 2019 da Pier Antonio Panzeri, considerato uno degli uomini chiave del sistema, anche lui in carcere), che in comune avevano soltanto la sede legale in Rue Ducale 41, a Bruxelles. Anche se in quel palazzo «gli inquirenti, ai quali venerdì scorso ho aperto la porta e che avevano un mandato di perquisizione “in connessione alle attività del dott. Panzeri”, hanno sequestrato solo i nostri computer e telefoni, perché Fight Impunity usava la nostra sede solo di tanto in tanto per fare qualche riunione», racconta al manifesto Gianluca Eramo, il direttore delle operazioni e segretario del Comitato internazionale di Non c’è pace senza giustizia (Npwj) che ora ha preso il posto di Figà-Talamanca. Una sede che, per dirla tutta, è la residenza legale anche di Science for democracy, la piattaforma lanciata nel 2018 dagli ex parlamentari radicali Marco Cappato e Marco Perduca, di cui Figà-Talamanca è cofondatore.

La Lega e il gruppo di estrema destra Identità e democrazia ieri hanno presentato un’interrogazione alla Commissione europea per sapere se le due Ong coinvolte nell’inchiesta «abbiano ricevuto finanziamenti attraverso bandi europei e per quali cifre» e «se abbiano fornito servizi di studi, consulenza o ricerca per le Istituzioni Ue e nel caso i compensi ricevuti per gli stessi».

«Lobby, advocacy o moral suasion, comunque la si chiami, nel campo dei diritti umani è in generale un’attività non solo lecita ma anche nobile. E non tutte le Ong che lavorano in questo campo sono uguali – puntualizza Eramo – tra noi di Npwj e Fight Impunity ci sono molte e sostanziali differenze: noi siamo sempre stati iscritti al Trasparency register, come dovrebbero essere tutte le Ong e i gruppi di influenza attivi nell’europarlamento, mentre Fight impunity non si è mai registrata e operava senza quella trasparenza che noi abbiamo non solo sempre praticato ma anche storicamente considerato un obiettivo politico».

Npwj ha in effetti una lunga e nobile storia, come ricordano i leader di Radicali Italiani Massimiliano Iervolino, Giulia Crivellini e Igor Boni: «È un’organizzazione nata per portare avanti la campagna per la creazione della Corte Penale Internazionale. Npwj, insieme ad altre Ong, è stata determinante per arrivare al risultato storico di dotare la comunità internazionale di un tribunale penale. Dalla stesura dello Statuto della Corte, alla ratifica del Trattato di Roma per la sua istituzione e, successivamente, la raccolta sul campo delle prove per l’incriminazione di Slobodan Milosevic e di altri criminali del suo regime, Niccolò Figà-Talamanca è stato uno dei motori di ciascuna iniziativa. Per lui, come per tutti, il nostro approccio è garantista; ci aspettiamo che quanto prima possa difendersi e chiarire la sua posizione».

Anche la moglie Alison Smith e la famiglia di Figà-Talamanca – il quale rimane però in carcere perché la procura federale belga si è opposta alla decisione di concedergli i domiciliari con il braccialetto elettronico – ha voluto esprimere ieri la sua «assoluta certezza» che «al termine dell’inchiesta della magistratura belga, nella quale riponiamo piena fiducia, la posizione di Niccolò verrà chiarita e che lui verrà scagionato da ogni addebito».

È questo il sentimento più diffuso anche tra gli esponenti di quella che fu la cosiddetta «galassia radicale». Un mondo che, come dice Rita Bernardini, una delle poche che concede qualche riflessione, «quando c’era Pannella faceva oggetto di continuo dibattito tutto ciò che accadeva dentro e fuori di esso, mentre oggi il confronto è relegato solo ai momenti congressuali» di quel che resta di un partito. «Noi radicali, diceva Pannella, non siamo migliori degli altri ma ci diamo strumenti affinché certe cose non accadano: confronto e trasparenza, sono i primi strumenti».