Newsha Tavakolian, fotoreporter dalla vocazione narrativa
Mostra Le rose, le donne, la repressione in40 scatti della fotografa iraniana a «Eataly Art House – E.ART.H» fino al 31 agosto
Mostra Le rose, le donne, la repressione in40 scatti della fotografa iraniana a «Eataly Art House – E.ART.H» fino al 31 agosto
Petali di rose: l’estrema sintesi della precarietà dell’esistenza. Tutto di questo fiore così regale riconduce sin dall’antichità a più di una simbologia, dal colore a profumo dei petali, dalla consistenza vellutata della superficie al sapore marcato. Immortalità e nuovo inizio, vigore e coraggio in netto contrasto con caducità e delicatezza. Del resto «Una rosa è una rosa è una rosa» come scrive Gertrude Stein. Newsha Tavakolian (Teheran 1981), fotoreporter dalla vocazione narrativa (si definisce storyteller) è membro di Magnum Photos e vincitrice di vari premi internazionali tra cui Carmignac Gestion Award, Prince Claus Award e con il progetto And They Laughted At Me della I edizione di Deloitte, concorso fotografico internazionale con la direzione artistica di Denis Curti e il team di BlackCamera, promosso da Deloitte Italia in collaborazione con 24 Ore Cultura.
Dopo le prime tappe al Mudec di Milano e alla Biennale della Fotografia Femminile di Mantova, l’intero progetto di oltre 40 fotografie viene presentato negli spazi di Eataly Art House – E.ART.H. a Verona (fino al 31 agosto). And They Laughted At Me si sviluppa in due registri visivi il cui fil rouge è proprio la rosa rossa tenuta in mano da una giovane donna iraniana che ne aspira il profumo.
Questa foto, scattata a Teheran nel 1998 durante un incontro con i giovani dell’allora presidente riformista Mohammad Khatami (era stato eletto il 23 maggio 1997 e una seconda volta l’8 giugno 2001), è assurta a simbolo di speranza per un’intera generazione che credeva nei cambiamenti sociali e politici con il riconoscimento dei diritti civili.
Una speranza che è andata sfumando annullandosi nel tempo, proprio come l’immagine della ragazza con la rosa rossa di quella prima fotografia su cui, nel 2023, Newsha Tavakolian è intervenuta con gli acidi lasciando che questi agissero sull’effige restituendone una visione corrosa. And They Laughted At Me è per la fotografa un’occasione per riflettere sul suo lavoro e contestualmente sulla storia del suo paese, partendo dal proprio archivio.
Fotografie e provini che risalgono al 1996, quando autodidatta iniziò giovanissima la carriera professionale collaborando con Zan-e Rooz, l’unica rivista femminile iraniana. «Attraverso la lente della mia macchina fotografica ho esplorato il mondo, così la fotografia è diventata uno strumento che mi ha aiutata non solo a lasciare il segno nel mio ambiente, anche in me stessa», afferma Tavakolian.
Da quei primi scatti in parte «ingenui» – «negativi dovuti a errori miei o di altri, allo sviluppatore del laboratorio o macchina fotografica. Ho raccolto queste immagini indesiderate, imperfette, frammentate, perché anch’esse fanno parte della storia e delle narrazioni, non si possono cancellare» – leggiamo i suoi sentimenti giovanili, una sorta di diario visuale in cui sono ritratti amici e familiari, la quotidianità con la vista dalla casa dei suoi genitori con la torre Milad in costruzione, ma anche l’urgenza di testimoniare gli accadimenti: le tracce di sangue sulle pareti di un dormitorio studentesco dopo una protesta, lo striscione che annuncia la chiusura di un caffè in cui le donne non avevano indossato correttamente il velo.
Ancora immagini intime come il ritratto del padre l’ultima volta che lo vide nel 2018, prima della sua morte improvvisa o gli stessi piedi della fotografa – nel 2020 – fotografati accanto a quelli del marito, il giornalista olandese Thomas Erdbrink. Quei petali di rose rosse sparsi sulla tomba con le mani avvolte nei guanti di lattice, infine, ci riportano alla memoria la recente pandemia di Covid-19: un altro passato ancora da metabolizzare.
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