Fallito, per ora, l’obiettivo primario della normalizzazione dei rapporti con la ricca e influente Arabia saudita, il governo Netanyahu punta a un risultato più a portata di mano: l’adesione ufficiale del Sudan, o meglio dei generali autori del golpe del 25 ottobre 2021, agli Accordi di Abramo. Un successo parziale perché il Sudan aveva annunciato già nell’ottobre 2020 di essere pronto a normalizzare i rapporti con lo Stato ebraico. E tre mesi dopo Khartoum ha firmato la sezione dichiarativa dell’intesa alla presenza dell’allora segretario al tesoro, Steven Mnuchin. Ma non ha firmato ancora il documento corrispondente con Israele, a differenza di altri tre Stati arabi: Emirati, Bahrein e Marocco. Nei prossimi mesi dovrebbe esserci la cerimonia ufficiale della firma e l’avvio di piene relazioni diplomatiche tra i due paesi. Lo spazio relativamente contenuto che la stessa stampa israeliana ha dato al viaggio del ministro degli esteri Eli Cohen giovedì a Khartoum indica l’importanza reale di questo nuovo traguardo diplomatico di Benyamin Netanyahu. Rilievo modesto ha ricevuto anche l’apertura dell’ambasciata del Ciad a Tel Aviv malgrado la presenza alla cerimonia del presidente del paese africano Mahamat Déby.

Eli Cohen comunque ha enfatizzato il progresso fatto con il Sudan. Israele è «vicino alla firma di un accordo di piena normalizzazione delle relazioni con il Sudan, le due parti hanno finalizzato il testo dell’accordo», ha detto il ministro al suo rientro da Khartoum dove aveva incontrato il generale Abdel Fattah al Burhan, il capo dei golpisti sudanesi. Le due parti hanno discusso anche di progetti congiunti nella sicurezza, agricoltura, energia, salute, settore idrico e istruzione. L’inclusione del Sudan negli Accordi di Abramo – imposta a Khartoum da Donald Trump in cambio di aiuti economici e dalla promessa della rimozione del Sudan dalla lista dei paesi che aiuterebbero il terrorismo – ha un impatto simbolico per Israele. Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967 e l’occupazione israeliana di territori palestinesi, siriani ed egiziani, la Lega Araba si riunì nella capitale sudanese per stabilire quelli che divennero noti come i tre «no» di Khartoum: no ai negoziati con Israele, no al riconoscimento di Israele e no alla pace con Israele.

Nelle ultime settimane ci sono stati colloqui segreti tra funzionari israeliani e sudanesi con la mediazione dell’Amministrazione Biden. E durante la sua visita in Israele, il segretario di stato Blinken ha spinto per portare Al Burhan a firmare gli Accordi di Abramo probabilmente a Washington – dove vennero siglati gli Accordi di Abramo nel settembre 2020 – entro pochi mesi, ma le tempistiche non sono ancora chiare. Per i militari sudanesi, responsabili di crimini, abusi e uccisioni di dozzine di civili scesi in strada a protestare contro il golpe, l’arrivo di Cohen a Khartoum rappresenta una legittimazione internazionale importante, utile anche per rilanciare le relazioni con i paesi occidentali che accusano Al Burhan di aver fatto deragliare la transizione democratica avviata dopo la deposizione nel 2019 del presidente Omar al Bashir. Ai militari sudanesi comunque dopo il golpe non è mai mancato il sostegno di alcuni paesi arabi – Emirati, Egitto, Bahrain e Arabia saudita – e quello della Russia interessata a consolidare la sua presenza in Africa e nel Corno d’Africa considerato strategica anche da Israele. È probabile che nei colloqui di giovedì a Khartoum, Al Burhan si sia detto disponibile ad autorizzare la presenza in Sudan di apparati di intelligence di Israele incaricati di sorvegliare il Mar Rosso e i movimenti in Yemen dei ribelli Houthi alleati di Teheran.

La popolazione sudanese sa poco di queste manovre che vedono protagonisti i generali al potere. La protesta contro il golpe continua e procede di pari passo con quella per la crisi economica e il carovita. La scorsa settimana i manifestanti hanno tentato di marciare verso il palazzo presidenziale a Khartoum e il Parlamento a Omdurman ma sono stati fermati da polizia ed esercito. Il generale al Burhan alla fine del 2022 si è aperto al dialogo con l’opposizione proclamandosi disposto a cedere il potere a un governo civile ma la scetticismo dei sudanesi è profondo.