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Nessuno come lui. L’assalto finale di Trump a Cuba

Nessuno come lui. L’assalto finale di Trump a CubaL’Avana, 11 giugno 2019, fruttivendolo "a stelle-e-strisce" – Afp

American Psycho Stop a crociere e viaggi culturali, isola off limits per i cittadini Usa. Embargo duro e ricatto sul Venezuela, l’economia è allo stremo

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 15 giugno 2019

«La dignità, la sovranità e l’indipendenza non si negoziano». È quasi un refrain la risposta che da giorni, nella stampa cubana come nei messaggi del presidente Miguel Díaz-Canel, viene data alle ultime misure decise, lo scorso 6 giugno, dal presidente Donald Trump. Il quale ha dato inizio all’«assalto finale» a Cuba, mettendo in atto sanzioni che nessuno dei suoi undici predecessori aveva mai intrapreso.

DOPO AVER ATTIVATO lo scorso aprile il capitolo III della Legge Helms-Burton – che permette a qualsiasi cittadino statunitense di rivendicare presso i tribunali Usa proprietà che furono nazionalizzate dalla Rivoluzione castrista – e aver ridotto le rimesse dei cubano-americani, dall’inizio del mese vengono ufficialmente bandite le crociere a Cuba, come pure i viaggi culturali ed educativi. L’isola caraibica è off limits per i cittadini Usa.

La decisione ha una duplice valenza. Pratica, in quanto il turismo è la terza fonte di valuta per Cuba con 3,4 miliardi di dollari l’anno passato, quando i visitatori statunitensi (340.000) sono stati secondi solo ai turisti canadesi. Dall’inizio dell’anno sono giunti a Cuba più di 250.000 nordamericani, in maggioranza mediante le crociere inaugurate durante il periodo di distensione voluto dal presidente Obama.

L’impatto di tali misure sull’economia cubana è durissimo, dato che è associato alla crisi del suo principale partner, il Venezuela chavista: da mesi infatti nell’ isola vi è una penuria di generi di prima necessità. I supermercati mostrano desolanti file di scaffali vuoti o semivuoti, lunghe fila si allineano di fronte ai negozi quando arrivano i prodotti più ambiti: pollo, uova, olio, farina. Il governo affronta una drammatica crisi di liquidità in valuta, necessaria, a causa dell’embargo Usa, per importare beni di prima necessità, specialmente prodotti alimentari. E le ultime misure hanno il chiaro scopo di dissuadere le imprese estere a investire a Cuba.

MA VI È ANCHE UN PERICOLOSO impatto psicologico e politico. I falchi di Trump hanno riesumato in pieno la motivazione per cui, nel 1961, il presidente Eisenhower decise l’embargo: «Affamare il popolo cubano perché si ribelli». Le ultime misure colpiscono direttamente i cuentapropistas, i piccoli imprenditori cubani che in gran parte vivono del turismo. E che sono proprio il settore sociale che la propaganda trumpista pretende di voler aiutare a ribellarsi contro il «regime dittatoriale». È sufficiente un giro nell’Avana vieja per cogliere lo sgomento di quanti vivono dell’indotto delle crociere: autisti di auto d’epoca restaurate per tour all’Avana, bar e ristoranti privati, negozi di artigianato, guide. Inoltre, sottoposto a un attacco di tale violenza, il vertice cubano reagisce con un arroccamento in difesa, proprio nel momento in cui buona parte delle riforme iniziate otto anni fa da Raúl Castro sono ancora in mezzo al guado. E la “vecchia guardia” della Rivoluzione tende a frenare il processo di rinnovamento e di riforme temendo che gli attacchi di Trump continueranno in un anno di campagna presidenziale e, peggio ancora, in caso di rielezione del «Twitter en jefe» come è soprannominato il presidente Usa.

Un evento che oggi viene paventato anche da buona parte dei vertici politici della destra latinoamericana, ovvero dagli alleati-sudditi storici degli Stati uniti. La reazione si intravvede proprio nella differenza di analisi della situazione – la crisi del Venezuela – che sta alla base della decisione dell’Amministrazione statunitense di strangolare Cuba. Secondo i vari Bolton, Abrams, Rubio – i superfalchi che guidano la politica latinoamericana di Trump – le «migliaia» di agenti cubani che, a loro dire, controllano governo e Forze armate venezuelani sarebbero i responsabili del fallito golpe progettato a Washington e attuato da Juan Guaidó. Da qui il ricatto in atto al governo cubano: togliere o allentare la garrota economico-finanziaria-commerciale solo se acconsentirà a buttare a mare Maduro.

LA RISPOSTA CUBANA è quella detta all’inizio: dignità e indipendenza non si vendono. I leader della destra latinoamericana – a differenza di Bolton e company – sanno che in più di cinquant’anni le prove di forza degli Usa non hanno prodotto alcun cambio al vertice all’Avana. Non solo, un arroccamento dei vertici cubani può essere controproducente. Così il gruppo di Lima – 12 paesi latinoamericani più Canada – è deciso a chiedere una mediazione di Cuba, l’unica che potrebbe essere efficace per risolvere la drammatica impasse dei due presidenti in Venezuela, il costituzionale, Maduro, e quello inventato dagli Usa, Guaidó.

In sostanza gran parte dei leader latinoamericani sono interessati a uno sbocco negoziale, i falchi di Trump no. Una situazione che rischia di minare i rapporti tra Usa e America latina. La minaccia di dazi imposti al Messico – proprio pochi mesi dopo aver raggiunto un accordo per riformare il trattato di libero scambio tra Usa, Messico e Canada – aggrava questa situazione. Vari commentatori messicani accusano il presidente Trump di mettere in crisi le regole che gli stessi Usa avevano deciso dopo la Seconda guerra mondiale per imporre la loro egemonia.

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