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Nessun trionfo sulle rovine di Gaza

Nessun trionfo sulle rovine di GazaGaza – Ap - LaPresse

La luce del giorno ha rivelato la vasta distruzione nelle infrastrutture e nelle abitazioni civili, secondo le stime dell’Onu sono più di sessantamila i senza tetto. La gente è incredula […]

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 22 maggio 2021

La luce del giorno ha rivelato la vasta distruzione nelle infrastrutture e nelle abitazioni civili, secondo le stime dell’Onu sono più di sessantamila i senza tetto. La gente è incredula di fronte alle macerie di quelle che erano le loro case costruite con sacrifici di generazioni e cercano di recuperare il recuperabile.

Manifestazioni di giubilo dei palestinesi in tutta la Palestina storica e nella diaspora per quella che considerano una vittoria per non aver accettato di piegarsi al diktat di Israele.

Per Hamas si tratta di una svolta storica. Oltre al massiccio consenso e non solo in Palestina, il suo ruolo in questo momento viene riconosciuto anche se non in forma diretta dalla diplomazia internazionale.

Da oggi in poi sarà difficile per l’Anp ignorare le richieste unanimi di unità nazionale, pena la sua trasformazione in un altro regime arabo che basa la sua forza sul controllo delle strutture dello «Stato».

Anche Natanyahu insieme al ministro della difesa e capo di stato maggiore canta vittoria per le perdite inflitte a Hamas e alle altre organizzazioni «terroristiche» nella Striscia, senza convincere però la maggior parte della popolazione israeliana.

Per i moderati si è trattato di una guerra voluta da lui per ricompattare la destra intorno alla sua guida e salvarsi dalla prigione per corruzione.

Per gli abitanti delle colonie intorno a Gaza insieme ad autorevole commentatori, si tratta di un fallimento totale sul piano militare perché lascia le cose come erano prima. La parte più estrema della destra israeliana minaccia di ritirare il suo sostegno al governo in caso di concessioni ai palestinesi sulla questione di Gerusalemme come è realmente avvenuto.

L’elemento più importante che emerge dalle ceneri di questa guerra riguarda la svolta nell’atteggiamento della comunità internazionale, e degli Stati unite in particolare. Non c’è dubbio che l’insistenza di Biden è stata decisiva per fermare i bombardamenti e questo perché voci autorevoli di democratici come Sanders nel Congresso e nel Senato criticano apertamente la politica israeliana. Mentre il presidente rinnova l’impegno nella sicurezza di Israele e la fornitura di nuove armi di precisione, esponenti del suo partito presentano una risoluzione per bloccarla.

Per la prima volta si parla anche di diritti civili e di discriminazione della popolazione palestinese in Israele.

A differenza del passato, unanime è la richiesta della comunità internazionale di esaminare le ragioni profonde del conflitto sulla base del diritto e delle convenzioni internazionali: espressioni che contraddicono il solito generico invito alle parti di riprendere le trattative. Sono tutti elementi che alimentano la speranza e pongono limiti all’arroganza del governo e della destra israeliana.

Con molto sospetto viene visto il protagonismo della diplomazia egiziana che riceve quasi una delega dell’Ue e degli Usa. Lo stesso impegno egiziano di contribuire con 500 milioni di dollari alla ricostruzione sembra la premessa per imporre un maggiore controllo di «sicurezza» nella Striscia.

Il compito che l’Anp palestinese non è in grado di svolgere per erodere il potere di Hamas, diventa materia di intesa tra Egitto e Israele con il sostegno internazionale come condizione per la ricostruzione di ciò che questa guerra e le guerre precedenti hanno distrutto.

La rimozione delle macerie e la ricostruzione richiedono un sforzo che le forze locali non sono in grado di garantire, ma affidare questo ruolo alle società di proprietà del esercito egiziano note per il livello di corruzione, non è una scelta accettabile e le conseguenze politiche sono gravi.

A ben vedere questa ultima guerra ha messo in scacco il piano di Trump per il Medio Oriente e ha dimostrato l’irrilevanza dei suoi protagonisti, avendo accresciuto l’egemonia e il ruolo di alcune potenze regionali come la Turchia e l’Iran.

La regione non è più una terra di nessuno che Israele e America possono gestire in modo arbitrario, e penso che l’attuale amministrazione abbia inteso questo cambiamento. La questione di Gerusalemme, della Moschea, della libertà capitale d’Israele, l’autodeterminazione del popolo palestinese, la discriminazioni dei palestinesi in Israele, la strisciante colonizzazione dei Territori palestinesi occupati sono fattori fondamentali per una futura stabilità della regione e non possono essere oggetto di scelte unilaterali e arroganti della destra israeliana.

Il destino della regione e il futuro di tutti i suoi popoli impongono a tutti un approccio radicalmente diverso dal passato, le rivendicazioni legittime dei palestinesi dopo anni di solitudini trovano risposta da larghissima parte della opinione pubblica della regione e oltre.

È prioritario che il presidente Abu Mazen prenda l’iniziativa per unificare le forze politiche palestinesi colmando il vuoto politico esistente e la legittimità della rappresentanza democratica che il popolo palestinese ha dimostrato di meritare.

L’accordo di Oslo è morto e sepolto da molto tempo ad opera della destra israeliana quando ha ucciso il primo ministro Rabin, l’unica cosa che rimane di quell’accordo è l’Anp stessa.

Bisogna andare verso una soluzione basata sul diritto e sulle convenzioni internazionali, come ha affermato il segretario delle Nazioni Unite.

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