Clima idilliaco ad Arcore, dove ieri è arrivato Matteo Salvini: «Cordiale incontro», «Massima comunità d’intenti con Giorgia Meloni», «Necessità di dare presto all’Italia un esecutivo compatto». Repertorio ma non bugiardo. L’incontro riflette davvero una situazione distesa, almeno per quanto riguarda il puzzle del futuro governo. A Silvio Berlusconi il leader della Lega ha confermato quel che già la sera prima confidava: il tam tam sul Viminale leghista a tutti i costi è pura tattica. Serve ad alzare il prezzo: Salvini è pronto al sofferto passo indietro, ma non gratuitamente. Tre ministeri di rilievo invece di due potrebbero essere un prezzo onesto.

Così finisce in corsa per gli Interni, oltre che per Esteri e Difesa, l’onnipresente Antonio Tajani. Un problema però c’è: i due leader, Salvini e il forzista Tajani, saranno entrambi vicepremier, ma senza l’aggiunta di un ministero di peso si tratterebbe solo di una carica onorifica. Il peso deve però essere uguale. Gli Esteri sono già quasi fuori gioco, con Giulio Terzi di Sant’Agata, diplomatico ma anche candidato alle elezioni da Fratelli d’Italia e dunque politico, vicino ad agguantarli. Ma Tajani ministro degli Interni e Salvini dell’Agricoltura per la Lega sarebbe inaccettabile. Se si trattasse del ministero della Difesa la bilancia sarebbe più o meno in equilibrio.

Non che Cavaliere e Capitano si siano esercitati solo nel rebus delle poltrone. Hanno soprattutto parlato d’altro: di bollette e con massima preoccupazione perché la situazione, si sono confessati, è più grave di quanto non appaia. Le notizie da Bruxelles, per quanto previste, certo non tranquillizzano. Sono passate un paio di settimane da quando il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, nell’ultima (per ora) conferenza stampa del governo uscente, si diceva convinto che ieri, 30 settembre, il Consiglio europeo dell’Energia avrebbe deciso il tetto europeo sul prezzo del gas. Non è andata così e anzi anche la proposta di mediazione avanzata in subordine proprio da Cingolani, quella di una forchetta da realizzarsi fissando un prezzo massimo e uno minimo, è stata cassata senza essere neppure presa in considerazione.

I 15 Paesi che insistono per il price cap, capitanati da Italia e Francia, spingeranno per rovesciare il verdetto nel Consiglio del 21 e 22 ottobre. Ma con speranze ridotte al lumicino. Strada sbarrata anche per il tetto solo sul gas russo, che in realtà per l’Europa nel complesso risolverebbe poco dal momento che solo il 9% dell’energia proviene di lì. Ma per l’Italia, pur non essendo il massimo obiettivo, sarebbe stato invece prezioso dal momento che qui dal gas di Putin proviene il 20% del consumo d’energia.

Insomma è comprensibile che nell’incontro di ieri ad Arcore soprattutto di energia, bollette e obbligo di evitare la mazzata per famiglie e aziende si sia parlato. Senza però neppure ipotizzare una soluzione. Nella destra tutti concordano che non abbia molto senso affrontare l’argomento sino a che non si saprà chi dovrà materialmente occuparsene. Però la casella chiave dell’Economia resta vuota: si tratterà di un tecnico, questo è certo, e di una figura che garantisca continuità o almeno non discontinuità con Mario Draghi. I nomi che circolano sono tre: Fabio Panetta, Domenico Siniscalco e Daniele Franco, ma per Giorgia Meloni la prima opzione resta di gran lunga la preferita e dunque non ha alcuna intenzione di arrendersi.

La necessità di individuare per prima cosa il ministro dell’Economia è reale, però presenta il rischio di far passare settimane preziose senza preparare un intervento che, una volta insediatosi il governo, sarà di massima urgenza e richiederà rapidità. Le ipotesi, una volta tramontato il sogno di un salvifico aiuto europeo, in fondo si limitano a tre. Una revisione radicale del Pnrr, alla quale Fratelli d’Italia effettivamente pensa ma che dovrebbe prima ottenere il semaforo verde dell’Unione europea. Lo scostamento di bilancio, che Giorgia Meloni la draghiana è decisa a evitare comunque ma sul quale quasi certamente proverà a insistere Matteo Salvini. Oppure una politica di tagli, e di quelli molto dolorosi. La peggiore di tutte.