Una volta si chiamava “split ticket”: votare per un presidente repubblicano e per un deputato democratico (o viceversa) nella stessa giornata elettorale. Oggi non esiste più, le elezioni si sono nazionalizzate, anche quelle per il distretto scolastico. Nelle elezioni presidenziali del 2020 sono stati registrati solo 16 casi su 435 di circoscrizioni della Camera che hanno eletto un candidato alla presidenza e un deputato locale di partiti diversi. Erano stati 35 nel 2016 e 83 nel 2008. Negli anni Settanta gli split ticket coinvolgevano oltre un terzo dell’elettorato americano: ora non più. La regola è lo “straight ticket”, si vota per tutti i candidati del proprio partito, compresi quelli squinternati. In Italia non è frequente la sovrapposizione di elezioni locali, regionali e nazionali ma è chiaro che l’orientamento politico prevalente a livello nazionale investe anche le amministrazioni locali.

Se ad Ancona prevale il centrodestra (com’era già avvenuto negli anni scorsi a Ferrara e in altre città dell’Emilia-Romagna) non è perché il centrosinistra avesse mal governato bensì perché “l’aria che tira” in questo momento è quella lì. I dirigenti del PD si sono sempre vantati della loro buona amministrazione (anche quando non era il caso) e oggi si trovano spiazzati da un voto che non tiene conto di ciò che hanno fatto.E’ un fenomeno internazionale. Quale esempio migliore di Barcellona ci potrebbe essere? Per otto anni Ada Colau ha limitato l’avidità degli speculatori immobiliari, sostenuto gli sfrattati, migliorato i servizi sociali, costruito piste ciclabili, ovvero ha fatto tutto ciò che era umanamente possibile per migliorare la qualità della vita dei cittadini a livello locale. Nel voto di domenica è arrivata terza (forse seconda, lo spoglio delle schede finirà venerdì) distanziata dall’ex sindaco indipendentista di destra Xavier Trias, che promette di disfare tutto ciò che Ada aveva fatto. Fino a questo momento nel conteggio dei voti era superata anche dal candidato socialista Jaume Collboni, avanti di 141 suffragi. Non è impossibile che si riformi un’alleanza di sinistra tra il Psoe e Barcelona en comù, il partito di Ada, ma il risultato è comunque deludente.

Non si possono mettere nello stesso calderone paesi diversi, candidati diversi, elezioni diverse ma se il vento di destra soffia in tutto il mondo qualche spiegazione non contingente ci deve essere.
Un elemento di nazionalizzazione di ogni elezione è ovviamente l’ecosistema informativo contemporaneamente unificato e frammentato. Unificato perché dal mio divano posso guardare i documentari sulla pesca dei salmoni nel fiume Columbia e frammentato perché devo scegliere fra due miliardi o più di siti Web funzionanti, oltre che su variegate piattaforme, da FaceBook a Tik Tok. Ogni problema locale può coinvolgere immediatamente non solo chi abita lì ma anche i cittadini di Anchorage (Alaska) o Cebu (Filippine). Nel caso delle elezioni amministrative un secondo fattore importante era già stato segnalato da Zygmunt Bauman oltre vent’anni fa: «Le città sono diventate la discarica di tutti i problemi creati dalla globalizzazione», volendo così sottolineare che le immense forze distruttive messe in moto dalla finanziarizzazione dell’economia, dalla deindustrializzazione di varie regioni europee e dallo svuotamento di molte zone rurali dovevano forzatamente investire le città. Perdita di posti di lavoro, espulsione dei cittadini a basso reddito dalle zone centrali, difficoltà sempre maggiori nel garantire i servizi indispensabili sono solo le conseguenze più visibili di questo processo.

Un altro elemento che oggi caratterizza i paesi industrializzati è il risentimento delle campagne nei confronti delle città, particolarmente vistoso negli Stati Uniti ma ormai presente dappertutto: sono state le campagne dell’Anatolia a rieleggere Erdogan in Turchia, a danno del candidato dell’opposizione Kiliçdaroglu, sostenuto dai sindaci di Istanbul e Ankara. In Francia, Macron ha represso con brutalità il movimento dei gilet gialli, che era sostanzialmente una rivolta della provincia contro Parigi.

In Italia le grandi città sono sempre state un terreno difficile per la destra, in particolare per la Lega: non a caso Torino, Milano, Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza e Padova sono governate dal centrosinistra. Basta spostarsi di dieci chilometri dai centri urbani per trovare un voto molto diverso. Perché le campagne contro le città? Perché, bene o male, le città sono i luoghi dove si decidono le scelte politiche, o almeno questa è l’impressione che hanno gli abitanti di Gaggio Montano, di Comacchio o di Vetralla. Abitare nei piccoli e piccolissimi centri significa aver perso negli ultimi trent’anni l’ospedale, la scuola media, le librerie, il cinema. E, naturalmente, le opere di manutenzione del territorio, come si è drammaticamente dimostrato nei giorni scorsi sull’Appennino.