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Nell’Arena (2) con gli alleati di Asia

In una parola Asia Argento è considerata una «cattiva ragazza». E se un maschio viene considerato “stravagante”, una donna diventa subito una “strega”

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 2 ottobre 2018

Non da ora Asia Argento è considerata una «cattiva ragazza». Questo accade «perché è una persona che non accetta le regole e, soprattutto, un certo tipo di bigottismo, che in Italia è molto ipocrita, perché nel privato succede di tutto, ma non importa, purché si mantenga l’apparenza. In più è una donna: e se un maschio viene considerato “stravagante”, una donna diventa subito una “strega”».
Manuel Agnelli, musicista e «giudice» nel programma X Factor – sono in onda le prime puntate, nelle quali è ancora presente l’attrice e regista al centro della polemica col giovane Jimmy Bennet – difende Asia a spada tratta. La sua opinione era ieri a pagina 33 de La Repubblica, sotto la cronaca dell’intervista alla Argento condotta da Massimo Giletti domenica sera.

Lo stesso conduttore di Non è l’Arena, ha simpatizzato più con la donna che con il suo accusatore. Ne ha chiesto apertamente la riammissione a X Factor. E durante la sua trasmissione altri due maschi si sono schierati in difesa di Asia: Marco Travaglio e l’altro «giudice», Fedez.

Questa scelta maschile mi è sembrata – per ora – la cosa più interessante. Nonostante tutti i possibili dubbi. La potenza mediatica del caso può fare gola a chi vive della audience in tv e sulla rete. Inoltre nella grande partita del #metoo a noi uomini restano non molte vie da seguire. Si può far finta di niente (io rispetto le donne, la cosa non mi riguarda), oppure reagire con stizza, o qualcosa di peggio (la reazione femminile sta diventando una «caccia alle streghe» al contrario), o invece sistemarsi nella posizione (forse più comoda vista l’aria che tira?) dei «paladini delle donne».

Ma può esserci anche una adesione più consapevole e sincera al cambiamento aperto dalla rivolta contro la violenza e le molestie, e in definitiva contro il potere che ancora molti uomini esercitano nella società e nei luoghi di lavoro contro le donne (e contro la felicità della vita di tutti).

Il #metoo è una cosa «che è uscita dagli argini – sono ancora parole di Manuel Agnelli – ed è chiaro che è una materia complessa dove non è tutto bianco o nero. Asia è un personaggio internazionale e la sua azione è andata a toccare un meccanismo più grande di lei che ha messo in moto i propri anticorpi. É giusto che combatta con tutta la sua determinazione: sono certo che non ha fatto niente di male. E poi questo grande movimento non deve perdersi».
Questo leggiamo nelle pagine sugli spettacoli di Repubblica.

Se sfogliamo il giornale al contrario per tornare alle cronache internazionali troviamo il dibattito aperto negli Usa sul giudice Kavanaugh, che Trump vuole alla Corte suprema. Quattro donne lo accusano di essersi comportato con loro, molti anni fa, in modo molesto e violento. Ci sarà una breve indagine dell’Fbi. La democratica Elizabeth Warren, legata al femminismo, al movimento di Occupy Wall Street, giurista e «paladina delle riforme contro la speculazione finanziaria», come scrive Federico Rampini, si dice intenzionata a correre per la presidenza. Sta alle donne, afferma, risanare «le nostre istituzioni malate», dove a proposito di Kavanaugh «uomini potenti aiutano un uomo potente a diventarlo ancora di più».

Gli effetti politici del #metoo, in un’America che sta per votare nel «mid-term», possono essere dirompenti, ma il New York Times – protagonista nella diffusione delle notizie-scandalo sul caso Bennet-Argento – avverte che l’uso politico del movimento potrebbe anche essere un boomerang per la sinistra democratica, ancora distante dall’america profonda che ha votato Trump.

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