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Nell’Arabia saudita «multipolare» dove i migranti pagano per lavorare

Nell’Arabia saudita «multipolare» dove i migranti pagano per lavorareUn murale con il volto di Mohammed bin Salman – Ap

Golfo Riyadh verso i Brics a pochi giorni dal rapporto di Human Rights Watch sull'uccisione sistematica di etiopi al confine. Intervista all'analista saudita Ali Al-Ahmed: «I sauditi hanno bisogno dei lavoratori stranieri se questi sono legali, se pagano e generano introiti per il governo e il settore privato. Altrimenti, non hanno pietà»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 25 agosto 2023

La notizia della prossima adesione dell’Arabia saudita nel Brics arriva a pochi giorni dal rapporto di Human Rights Watch sull’uccisione sistematica di migranti etiopi al confine con lo Yemen.

Un esempio brutale delle politiche del regno, tra i peggiori autoritarismi al mondo ma anche peso massimo quando si parla di soldi. Il pil saudita ammonta a 833 miliardi di dollari, il doppio di Emirati, Egitto e Iran, le altre new entry dalla regione mediorientale e nord africana.

Riyadh è già «multipolare». Rimane alleata di ferro degli Stati uniti, si fa coccolare da Cina e Russia, si riavvicina all’Iran, dialoga con Israele, investe in Africa e tiene in piedi regimi amici. Ed è un esempio lampante di modello capitalista che baratta privilegi economici con l’eguaglianza sociale, che non prevede diritto di sciopero e vieta per legge la formazione di sindacati dei lavoratori.

Un sistema tenuto in piedi dalle risorse energetiche ma intenzionato a diversificare la propria economia, di cui il trattamento della popolazione migrante è uno degli specchi.

Ne abbiamo parlato con Ali al-Ahmed, analista saudita e fondatore del think tank Institute for Gulf Affairs.

Il rapporto di Human Rights Watch ha svelato l’uccisione di centinaia, forse migliaia di migranti etiopi alla frontiera, una politica strutturale. In che contesto va inserita?

L’Arabia saudita ha una storia di massacri. È successo spesso in passato, stavolta se ne parla perché i numeri sono elevatissimi. Ma ha sempre implementato un enorme sistema di sicurezza ai confini con lo Yemen. Da anni quella frontiera è attraversata a piedi, si paga qualcuno per passare attraverso i posti di blocco senza essere individuati. I sauditi hanno iniziato a sparare a tutto ciò che si muove. Hanno messo in piedi una barriera militare, moltissimi soldati e armi pesanti. Nel 2009 pubblicai un video su YouTube: sauditi che catturavano yemeniti, ne uccidevano alcuni, altri ne torturavano. YouTube lo ha rimosso.

Il 35% della popolazione presente in territorio saudita è, però, composta da lavoratori migranti. Sono fondamentali all’economia interna.

I lavori manuali sono svolti da migranti. La maggior parte proviene dal subcontinente indiano, India, Bangladesh, Pakistan. Arrivano per lo più legalmente. Ma c’è stato anche un aumento della manodopera africana, persone provenienti da Uganda, Etiopia, Kenya, Somalia. Riyadh ha un sistema di quote per i lavoratori di diversi Paesi. Non parlo di ingegneri e lavoratori altamente istruiti, ma poco qualificati.

Le politiche migratorie saudite sono cambiate nel tempo? Assistiamo a deportazioni di massa e slogan nazionalisti da parte del principe ereditario Mohammed bin Salman.

La cosa che è cambiata sono i costi. Ora sono gli stessi migranti a dover pagare il permesso di soggiorno. Alcuni di loro non sono in grado di farlo. L’Arabia saudita e i paesi del Golfo in generale hanno sistemi più strutturati di Europa e Stati uniti: non ci si può muovere, non si può acquistare un telefono e nemmeno salire su un Uber se non si mostra una carta di identità. È tutto controllato e automatizzato. Devi pagare perché le tue informazioni siano presenti su tutte le piattaforme. Per vivere lì i migranti devono pagare costi molto alti per i servizi e la registrazione della residenza. Molte persone, soprattutto provenienti da Etiopia o Somalia, vivono in case non registrate. L’anno scorso le autorità saudite hanno distrutto un terzo di Gedda, i quartieri che ospitavano migranti, legali e illegali.

Sembra una contraddizione: un’economia in parte retta dai migranti da una parte, espulsioni dall’altra.

I sauditi hanno bisogno di migranti se questi sono legali, se hanno i documenti, se pagano. Altrimenti, non hanno pietà. Prima era facile far arrivare lavoratori stranieri, ora è più difficile perché bisogna pagare per ogni servizio, come l’assicurazione sanitaria. In passato, se un lavoratore bengalese si ammalava, andava all’ospedale pubblico. Ora ha bisogno di un’assicurazione. Questo genera introiti per il governo e per il settore privato.

Dopo il rapporto, da Occidente sono arrivate richieste di indagini, ma nessuna vera condanna. Quanto è necessaria l’alleanza con Mbs?

Il governo statunitense e quelli europei non hanno detto nulla. Viviamo in un mondo molto razzista: quegli etiopi non contano molto. Ma l’idea che l’Occidente abbia bisogno dei sauditi per il petrolio è una bugia. Il Venezuela ha molto più petrolio, è più vicino agli Stati uniti ed è più democratico dell’Arabia saudita. Washington acquista pochissimo petrolio saudita. Non vedremo Biden fare di Riyadh uno Stato paria, anzi: con lui la cooperazione è aumentata rispetto all’era Trump. Sta modernizzando le forze armate saudite, l’azienda che se ne occupa è la Boeing, l’addestramento dei soldati, il sistema delle corti marziali…aiuta i sauditi a creare un esercito molto più moderno, ma pur sempre un esercito razzista. Gli Stati uniti sostengono Riyadh per mantenere una presenza: è un buon governo quello che compra armi, dà accesso alla regione, permette di fare qualsiasi cosa. A Usa, Regno Unito ed Europa non piace avere un governo nazionalista che mette i propri interessi davanti a quelli stranieri. Per molti versi vivono ancora nel periodo coloniale: l’occupazione per invasione forse è finita, ma l’egemonia no.

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