Negli Stati uniti il sorpasso dell’eolico alla prova del Midterm
Ha fatto clamore il fatto che lo scorso 29 marzo negli Stati Uniti l’energia eolica, per la prima volta, abbia superato sia la generazione nucleare che quella da carbone divenendo […]
Ha fatto clamore il fatto che lo scorso 29 marzo negli Stati Uniti l’energia eolica, per la prima volta, abbia superato sia la generazione nucleare che quella da carbone divenendo […]
Ha fatto clamore il fatto che lo scorso 29 marzo negli Stati Uniti l’energia eolica, per la prima volta, abbia superato sia la generazione nucleare che quella da carbone divenendo la seconda fonte di produzione di elettricità, dietro al gas naturale. Un dato che arriva dopo due anni caratterizzati da una forte accelerazione delle installazioni eoliche, 14,2 GW nel 2020 e 13,9 GW nel 2021, che hanno consentito al vento di garantire lo scorso anno il 9% della produzione totale. Per paragone, ricordiamo che in Europa nel 2021 sono stati installati 17,1 GW eolici e che l’anno prima la quota generata dal vento era stata del 16%.
Tornando agli Usa, l’impennata della produzione eolica del 29 marzo è stata guidata dagli Stati delle Grandi Pianure. Il Southwest Power Pool, l’operatore di rete regionale dei 14 Stati che si estendono dall’Oklahoma al North Dakota, ha riferito che la generazione rinnovabile, quasi tutta eolica, quel giorno ha rappresentato il 90% della produzione elettrica. «Nell’arco di un decennio, siamo passati dal ritenere irraggiungibili livelli di penetrazione delle rinnovabili del 25% alla situazione attuale nella quale superiamo regolarmente il 75% senza problemi di affidabilità», ha affermato l’operatore della rete elettrica. Un dato interessante, considerati gli ambiziosi obiettivi del paese.
Ma qual è la situazione a livello nazionale?
Le fonti a basse o zero emissioni di carbonio hanno rappresentato il 42% della produzione di elettricità negli Usa. In questa quota è però presente la quota del nucleare che si assesta al 20%.
Considerando tutte le rinnovabili, includendo solare e soprattutto l’idroelettrico, queste sono ormai anche su base annua sullo stesso livello del contributo del carbone e del nucleare. E viste le previsioni di crescita dell’elettricità verde, nei prossimi anni diventeranno la seconda fonte di produzione di elettricità dopo il gas. Metano che anche negli Usa ha visto degli aumenti dei prezzi, anche se molto inferiori rispetto a quanto succede in Europa.
Ricordiamo che Biden punta all’80% di energia senza emissioni di carbonio entro la fine del decennio. Considerando che la quota del nucleare difficilmente supererà l’attuale percentuale il salto che ci si aspetta dalle rinnovabili è enorme.
Naturalmente molto dipenderà dalle future amministrazioni, ma l’onda è ormai partita grazie al calo dei costi, agli obiettivi ambiziosi di alcuni Stati, come California o New York e alla comparsa anche negli Usa di nuove soluzioni come l’eolico offshore che potrebbe arrivare a 30 GW nel 2030.
Ma, a fronte delle buone notizie sulle rinnovabili, arrivano anche segnali preoccupanti sul fronte dei fossili. Il presidente Usa, infatti, è sotto pressione in vista delle elezioni di Midterm a novembre e vuole aumentare la produzione di petrolio per moderare gli elevati prezzi della benzina negli Usa.
La scorsa settimana il Dipartimento dell’Interno ha infatti dichiarato che avrebbe iniziato a offrire permessi di perforazione di petrolio e gas su terre e acque pubbliche, nonostante la promessa elettorale di Biden di bloccare nuovi contratti. Gli alti funzionari dell’amministrazione questa settimana hanno affermato che la decisione era necessaria a causa di una sentenza dei tribunali e di avere contemporaneamente raddoppiato i diritti federali che le società devono pagare per perforare. Ricordiamo che nello scorso decennio sono stati pagati 83 miliardi di dollari e che, nel caso di trivellazioni a terra, sono andate per la metà agli Stati coinvolti.
Verranno avviati contratti per una superficie di 580 chilometri quadrati di terre federali principalmente negli Stati Uniti occidentali. Una superficie inferiore dell’80% rispetto alle aspettative delle compagnie petrolifere. Si tratta comunque di un atto preoccupante. Si consideri che i combustibili fossili estratti dal suolo pubblico rappresentano il 20% delle emissioni di gas serra degli Stati Uniti legate all’energia, il che li rende un obiettivo primario per gli attivisti del clima.
Ma la mossa ha portato alla condanna da entrambe le parti dello spettro politico: gli ambientalisti hanno contestato fortemente la decisione, mentre i rappresentanti dell’industria petrolifera hanno affermato che le tasse più elevate avrebbero scoraggiato le trivellazioni.
Ma ci sono anche notizie positive sul fronte dell’Amministrazione. Sono state infatti ripristinate le indicazioni contenute nel National Environmental Policy Act che era stato varato cinquanta anni fa e messo in cantina da Trump. Tra i vari contenuti significativi, il fatto di dover considerare gli impatti climatici delle infrastrutture proposte, dagli oleodotti alle autostrade, e la rivalutazione della partecipazione delle comunità locali nelle discussioni.
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