La guerra moderna si combatte non solo con le armi, ma anche attraverso la manipolazione dell’opinione pubblica. Chi non vuol sentire neppure parlare di un cessate il fuoco a Gaza ha individuato nel segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, un bersaglio da colpire allo scopo di indebolire il suo impegno per una tregua che interrompa lo spargimento di sangue e crei lo spazio per una trattativa per ottenere da Hamas la liberazione degli ostaggi.

Una dichiarazione chiara, e priva di ambiguità riguardo alla responsabilità dell’attacco del 7 ottobre, è stata distorta per farla sembrare una giustificazione delle violenze compiute dai miliziani palestinesi.

A dare l’avvio alla mistificazione è stato l’ambasciatore di Israele all’Onu, che su twitter ha chiesto le dimissioni di Guterres.

Dai social la distorsione delle parole del segretario generale si è rapidamente diffusa ai media tradizionali. Nelle ultime ore abbiamo visto all’opera quella che Harold Nicolson chiamava la diplomazia degli «altoparlanti» e degli «insulti» che si è rivelata ancora una volta un potente fattore di destabilizzazione più che di controllo dei conflitti, capace di diffondere nelle opinioni pubbliche di tutto il mondo un senso di sfiducia nei confronti del lavoro che (anche mentre un conflitto è in corso) viene svolto dai rappresentanti delle potenze globali e dei diversi paesi i cui interessi sono coinvolti.

Nicolson era un difensore del modello tradizionale di diplomazia, che si basava sull’assunto che la pubblicità è un fattore di disturbo per un’attività che deve essere lasciata nelle mani di esperti che agiscono al riparo dal controllo da parte del pubblico.

L’ambizione della carta costitutiva delle Nazioni unite di introdurre un elemento di trasparenza nella politica internazionale era vista da Nicolson come un difetto, e non invece un progresso nella direzione di una democrazia globale. Un giudizio sui limiti delle Nazioni unite per certi versi simile a quello di Harold Nicolson è stato formulato di recente da Michael Walzer, in un libro in cui il filosofo politico statunitense ha cercato di articolare i principi di una «politica estera per la sinistra».

Walzer sostiene, infatti, che il modo in cui funziona questo organismo internazionale si basi su una finzione, che nasconde in realtà procedure di decisione che sono di fatto prigioniere degli interessi nazionali, e dominate dai poteri di veto all’interno del consiglio di sicurezza (come abbiamo visto già, del resto, nel corso della crisi attuale).

La reazione della sinistra a questa situazione non dovrebbe essere per Walzer la nostalgia per un passato di cui i conservatori come Nicolson sminuivano i troppi lati oscuri (sia dal punto di vista della giustizia sociale, sia da quello del rispetto dei diritti umani) e neppure cedere alla tentazione di un realismo politico che rigetta del tutto il ruolo della moralità nella politica internazionale.

Per Walzer un modello sbilanciato e parzialmente inefficace di gestione dei conflitti non richiede di essere smantellato, ma al contrario dovrebbe essere integrato da un grado sempre maggiore di cooperazione sia al livello dei rapporti tra gli Stati sia a quello delle relazioni transnazionali.

Un lavoro lungo, difficile, e probabilmente esposto al rischio del fallimento nel breve periodo, ma che rappresenta la migliore strategia per una sinistra che non voglia abdicare all’internazionalismo che è uno dei valori che ne giustificano ancora l’esistenza.

Ecco perché oggi la sinistra dovrebbe essere al fianco di Guterres e di chi difende le Nazioni unite da un attacco strumentale che può fare soltanto il gioco di chi vuole che le armi siano l’unica risposta a una crisi che richiederebbe invece un impegno per una soluzione stabile che altrimenti corre il rischio di aprire la strada a un’estensione del conflitto.

Anche se la diplomazia pubblica non può sostituire quella «vecchio stile» che, sebbene depotenziata, ancora oggi ha un ruolo (e probabilmente ha contribuito a ritardare l’invasione di terra di Israele nella Striscia di Gaza, che potrebbe peggiorare una situazione già tragica), essa dovrebbe essere sostenuta in ogni modo.

Se non si riesce a far sentire la propria voce per via del clamore delle armi, anche un gesto, come quello fatto dall’attivista per la pace Yocheved Lifshitz al momento della sua liberazione da parte di Hamas, può tenere viva la speranza di un mondo migliore.

Errata Corrige

In una prima versione dell’articolo per un refuso è stato scritto “Harold Wilson” invece di Harold Nicolson