Se si digita sui motori di ricerca, vengono fuori pagine intere di titoli con «Napoli, boom di turisti». Adesso che il flusso è totalmente destagionalizzato ci si è accorti che sarebbe stato necessario regolare il processo. Rete Set, Campagna per il diritto all’abitare, Rete dei Beni comuni e Mi Riconosci hanno indetto un’assemblea per oggi alle 18 in galleria Principe di Napoli per discutere di come restare abitanti della propria città: «Il business delle case vacanze sta costringendo sempre più persone ad andarsene. Gli sfratti anticipati si moltiplicano perché i proprietari sono ansiosi di approfittare della bolla turistica, soprattutto nel centro storico».

Sono circa 10mila le abitazioni trasformate in case vacanza e il numero aumenta continuamente: «Soprattutto gli abitanti degli strati popolari – spiegano gli attivisti – hanno enormi difficoltà a difendersi o a trovare un nuovo appartamento nei quartieri storici. Meno studenti scelgono di vivere a Napoli perché è impossibile trovare una camera a prezzi decenti. Il problema è meccanismo speculativo innescato da Airbnb e dalla proliferazione di affitti turistici».

La città ha offerto un mix di condizioni che hanno agevolato questa deriva: grandi patrimoni in mano a singoli proprietari; case a basso prezzo ma in palazzi storici (un elemento adesso sparito a causa della bolla speculativa innescata dall’iperturistificazione); un’ampia fascia di popolazione con lavori precari che ha investito in un immobile a fini turistici per integrare i guadagni. Per avere un’idea del fenomeno basta leggere il libro Le case degli altri di Alessandra Esposito (Editpress): su Airbnb Napoli nel 2017 c’erano 4.688 alloggi, il 69% erano di host con un solo annuncio; nel 2019 gli alloggi erano 8.546, solo il 40% di host con un solo annuncio.

«Il 2023 si è aperto con oltre 10mila sfratti esecutivi (dati Prefettura), trovare una casa è diventato un privilegio per benestanti. Una casa vacanze invece può rendere fino a 20mila euro al mese» proseguono gli attivisti. Del resto affittare ai vacanzieri conviene. La legge consente di avere fino a tre appartamenti per locazioni brevi con la qualifica di affittacamere senza Partita Iva, basta pagare la cedolare secca e la tassa di soggiorno.

Ad aprile c’è stata la tavola rotonda «Un’alleanza municipalista per una politica nazionale sulla casa» presenti 11 sindaci incluso il primo cittadino di Napoli, Manfredi. «Negli ultimi 20 anni il processo di regionalizzazione ha determinato una frammentazione delle politiche per la casa – hanno spiegato gli assessori -. Basti solo accennare ad alcuni fenomeni: dagli affitti brevi per uso turistico, agli studenti fuori sede che spesso vedono negato il diritto all’istruzione perché i costi dell’abitare sono insostenibili». La rete Alta tensione abitativa ha presentato un’iniziativa di legge sulla regolazione degli affitti turistici. Intanto, però, a livello locale le cose vanno in altra direzione.

Come ricostruisce il libro Privati di Napoli di Alessandra Caputi e Anna Fava (Castelvecchi), il comune nel 2022 ha firmato con il governo il Patto per Napoli e, di conseguenza, ha sottoscritto «una lettera di intenti con Invimit per un piano di valorizzazione ed efficientamento del patrimonio che prevede la creazione di un Fondo di investimento immobiliare a cui conferire 30mila immobili». Gli attivisti avevano proposto altre strade per ridurre l’esposizione, a partire dalla contestazione dei «debiti ingiusti» e degli interessi vessatori sul debito. Il patrimonio immobiliare pubblico si sarebbe quindi potuto utilizzare per raffreddare gli affitti.

A soffocare la città è anche «il tavolino selvaggio»: «Una delibera d’emergenza durante la pandemia – spiegano gli attivisti – ha permesso un’occupazione senza limiti dello spazio pubblico. Finita l’emergenza, la delibera dev’essere ritirata per restituire piazze e marciapiede alla funzione pubblica e sociale». Infine, i beni culturali. Nella città piegata alla monocultura del turismo il patrimonio viene consumato e, di conseguenza, messo a valore tramite sbigliettamento.

Caso esemplare il Cimitero delle Fontanelle nel quartiere Sanità: un luogo di culto identitario, verrà dato in gestione a un privato tramite bando, si pagherà un biglietto massimo di 10 euro (il 15% al Comune), gratis solo per gli abitanti della Terza municipalità. Tutto questo genera lavoro ma è un lavoro povero. Nei beni culturali quasi mai viene applicato il contratto di riferimento, di solito prevale il Multiservizi (circa 5 euro l’ora) o la Partita Iva. L’Ispettorato nazionale del lavoro ha svolto un’indagine, pubblicata ad aprile, nei settori del turismo e dei pubblici esercizi: il 76% è risultato irregolare, il 95% al Sud.