Raduni, dibattiti, picnic di famiglie palestinesi accanto ai ruderi dei villaggi di origine distrutti nel 1948. Ma il grosso delle commemorazioni del 75esimo anniversario della Nakba («Catastrofe») palestinese quest’anno è avvenuto in rete, attraverso incontri da remoto con la partecipazione di storici, esperti e discendenti di chi fu costretto all’esodo dalla sua terra. Senza dimenticare i servizi e programmi tv speciali realizzati dai media palestinesi e arabi. Un modo anche per aggirare l’opposizione crescente delle autorità israeliane all’iniziative che tengono annualmente i palestinesi in Israele e nei Territori occupati, in contemporanea alle commemorazioni nei campi profughi all’estero sparsi tra Libano, Siria e Giordania. «La Nakba è un momento determinante della vita collettiva, della storia e dell’espropriazione ancora in corso del popolo palestinese: la privazione dello spazio per commemorarla viola la libertà di espressione ed è un intollerabile atto di condiscendenza e discriminazione nei suoi confronti», ha twittato Francesca Albanese, la Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati.

Proprio all’Onu ieri si è registrata una novità di rilievo. L’Assemblea generale ha tenuto la prima commemorazione ufficiale della Nakba al Palazzo di Vetro, decisa lo scorso novembre con il voto favorevole di 90 paesi. Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen è intervenuto da remoto pronunciando un discorso. Poco prima aveva ratificato una legge che dichiara un crimine negare la Nakba. Israele si è opposto con veemenza alla decisione delle Nazioni Unite di contribuire con un evento ufficiale alla memoria della Nakba. Lo scorso novembre, il suo ambasciatore all’Onu, Gilad Erdan, si rivolse ai rappresentanti degli altri paesi ribadendo la posizione di Israele: «Cosa direste se la comunità internazionale celebrasse l’istituzione del tuo paese come un disastro? Che disgrazia!». Secondo Israele le commemorazioni della Nakba mirano a «delegittimare» la sua fondazione. E nei giorni scorsi ha avviato una campagna per scoraggiare la partecipazione all’evento all’Onu. La delegazione statunitense ha prontamente aderito all’appello di Israele annunciando la sua assenza.

Si guarda ora ai prossimi giorni che si annunciano a Gerusalemme e nei Territori occupati carici di tensione e di potenziali rischi di nuove escalation militari. Il premier israeliano Netanyahu si fa forte dei consensi recuperati grazie ai cinque giorni di offensiva aerea contro Gaza e il Jihad islami: 34 palestinesi sono stati uccisi dai bombardamenti e una donna israeliana da un razzo palestinese). Secondo un sondaggio, circa il 60% degli israeliani considera una vittoria l’operazione militare e il 54% soddisfacente il comportamento del governo e del suo premier, inoltre la maggioranza di governo ha ripreso alcuni dei seggi persi durante le proteste contro la riforma giudiziaria. Perciò Netanyahu è apparso raggiante ieri durante una riunione con il suo partito, il Likud. Oltre a descrivere come un successo eccezionale l’attacco lanciato contro Gaza, ha anche confermato che giovedì si terrà regolarmente la Marcia delle bandiere nel Giorno di Gerusalemme, quando migliaia di ultranazionalisti sfileranno nella zona araba della città sventolando la bandiera israeliana. «La Marcia delle bandiere avrà luogo come al solito e seguendo il consueto percorso», ha assicurato Netanyahu facendo eco a quanto ha comunicato la polizia. Significa che la sfilata passerà attraverso il quartiere arabo della Città vecchia generando tensioni e provocazioni che, nella situazione attuale, potrebbero riaccendere lo scontro a Gerusalemme e lungo le linee tra Gaza e Israele.