Muoia Sansone con tutti i palestinesi
Israele/Palestina I ministri di estrema destra imbarcati da Netanyahu sono propensi ad accaparrarsi l’intera Cisgiordania per diritto biblico; e pazienza se la Corte Penale Internazionale ha condannato gli espropri, gli insediamenti e il muro di 700 km che toglie acqua e terra fertile a chi vive lì da sempre
Israele/Palestina I ministri di estrema destra imbarcati da Netanyahu sono propensi ad accaparrarsi l’intera Cisgiordania per diritto biblico; e pazienza se la Corte Penale Internazionale ha condannato gli espropri, gli insediamenti e il muro di 700 km che toglie acqua e terra fertile a chi vive lì da sempre
Narra la Bibbia (Giudici, 16): «Sansone giunse a Gaza. I Filistei, appena informati del suo arrivo, si accordarono: “All’alba lo uccideremo”. Ma egli afferrò le porte della città e le divelse… Quando infine fu catturato e incatenato, il popolo ringraziò Dio: «Ha messo nelle nostre mani colui che devastava la nostra terra e moltiplicava i nostri morti». Quindi lo incatenarono tra le colonne del tempio davanti al popolo. Ma Sansone si aggrappò alle due colonne centrali gridando: «Che io muoia con i Filistei!». E il tempio crollò. Furono più i Filistei uccisi di quanti egli aveva ucciso in vita». Tutto ciò avvenne a Gaza millenni fa, ma ora si sta ripetendo.
Si dice a ragione che la guerra fa strage della verità. Affinché non succeda stavolta, conviene riepilogare alcuni punti fermi, senza tema di venir accusato di pregiudizi, perché chi ha visitato fin da giovane Mauthausen, Dachau, Auschwitz e lo Yad Vashem resta immune da ogni traccia di antisemitismo.
Il massiccio sbarco di ebrei in Palestina è fenomeno recente. Si fonda su uno slogan coniato nel primo ‘900 dal movimento sionista: «Un popolo senza terra per una terra senza popolo». Uno slogan «fondamentalmente falso» l’ha definito l’insigne musicista Daniel Barenboim, precisando che un secolo fa «la popolazione ebraica in Palestina era solo il 9%». Lo confermano stime attendibili: gli israeliti non erano più di 50.000 e i palestinesi 500.000 circa. Ma ancora nel 1946 si contavano 600.000 israeliti in una terra abitata in prevalenza da palestinesi (molti cristiani). Oggi ebrei e palestinesi sono a parità: poco più di 6 milioni gli uni e gli altri. Non potendo negare la realtà demografica, i governanti israeliani hanno tentato di cancellarla in altro modo. «Non esistono palestinesi, esistono solo arabi» sosteneva Golda Meir nel 1969. E via negando, fino all’attuale ministro delle Finanze, Smotrich, che il 19 marzo a Parigi ha stupito i francesi affermando: «Il popolo palestinese è un’invenzione che ha meno di cent’anni. Hanno forse una storia, una cultura? No. Esistono solo arabi».
Oggi 12 milioni di abitanti convivono nella stessa terra ma fanno sogni diversi. Nel profondo di ogni palestinese si annida la convinzione che prima o poi gli ebrei se ne andranno, come se n’andarono gli ultimi crociati nel 1291. Gli israeliani, invece, sognano di tuffarsi nel Lete per uscirne beneficiati del dono dell’oblio. Questo tentativo di far sparire per magia 6 milioni di palestinesi è stato definito dal quotidiano Haaretz un «memoricidio».
Il 7 ottobre Hamas ha brutalmente trucidato 1400 israeliani; ora Tsahal punta a eliminare almeno 14.000 palestinesi, secondo la regola non scritta dei dieci contro uno. Ma la barbarie di Hamas nello sgozzare bimbi ebrei è sotto gli occhi di tutti; mentre il massacro decuplicato di bimbi palestinesi non viene percepito come altrettanto grave, perché Hamas difetta della potenza mediatica d’Israele. Il che aiuta a spiegare come mai l’Occidente usi due pesi e due misure in questo conflitto. «Il diritto internazionale è carta straccia se implementato selettivamente» ha deplorato il re di Giordania, dopo aver visto il Sud globale affollare le piazze a sostegno di Hamas e dei suoi tagliagole.
Nel frattempo Smotrich, in quanto ministro delle Finanze, deve decidere come coprire le spese del conflitto. Tagliare agli ultraortodossi i sussidi che aveva appena aumentati? Inaccettabile, anche se in genere quelli non lavorano, non servono nell’esercito, non pagano tasse e lanciano sassi a chi capita il sabato di camminare nei loro quartieri (la Bibbia imporrebbe la lapidazione – cfr. Esodo 35, 2 e Numeri 15, 32 – ma ora non si usa più).
I ministri di estrema destra imbarcati da Netanyahu sono propensi ad accaparrarsi l’intera Cisgiordania per diritto biblico; e pazienza se la Corte Penale Internazionale ha condannato gli espropri, gli insediamenti e il muro di 700 km che toglie acqua e terra fertile a chi vive lì da sempre. Di fatto i coloni continuano ad avanzare metro dopo metro, rendendo inattuabile l’ormai ipocrita soluzione dei «due popoli due Stati». Se però lasciamo marcire questa crisi, la erediteranno le nuove generazion – così come per la crisi climatica non gestita da noi a tempo debito. Forse, un’alternativa sarebbe ancora esperibile, a queste condizioni: dimissioni di Netanyahu e del suo governo razzista; liberazione di Marwan Barghouti (il Mandela palestinese in carcere dal 2002); piano per una confederazione israelo-palestinese sui generis; dispiegamento dei “caschi blu” votato dal CdS dell’Onu. Utopie? Forse. Ma chi vive laggiù non ne può più di versare sangue: aspira solo alla requie, alla pace. Nel poema epico dei Maya c’è un brano che potrebbe ispirarli: «Ogni luna, ogni anno, ogni giorno, ogni vento arriva e passa. Anche tutto il sangue giunge al luogo del suo riposo (Toda sangre tanbièn llega al lugar de su quietud)».
* ex ambasciatore in Libano
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