Un sospiro di sollievo, uno squarcio nell’aria cupa che pesava da mesi e che, con l’avvicinarsi del Ramadam (il 10 marzo) stava diventando davvero pesante. Le ordinanze con cui il Comune di Monfalcone aveva vietato le preghiere in due Centri islamici sono state sospese. È intervenuto il Consiglio di Stato dopo che il Tar aveva rigettato l’istanza di sospensiva: nei Centri si potrà di nuovo pregare da subito, in attesa della sentenza definitiva. Il Presidente del Consiglio di Stato, Carlo Saltelli, ha riconosciuto che i ricorsi presentati dai Centri hanno «il requisito dell’estrema gravità e urgenza tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio, essendo in discussione delicate questioni in tema di libertà di culto e stante l’approssimarsi del Ramadam».

E se può sussistere un problema di sicurezza legato alla capienza delle sale a fronte di una affluenza numericamente massiccia, si trovi un accordo tra i Centri e il Comune così da evitare pericolosi sovraffollamenti, che ci sia dunque un «leale confronto tra le parti per evitare ogni possibile pericolo all’incolumità di persone e cose». Perfetto, «la disponibilità al confronto c’è sempre stata» dicono dai Centri, con l’animo leggero stavolta, perché davvero all’avvicinarsi del Ramadan una soluzione, almeno temporanea, si doveva trovare. «Sono settimane che non passa giorno senza che qualcuno mi chieda perché non può più venire in via Duca d’Aosta a pregare, perché lì non si svolgono più i riti del venerdì. In molti non riescono a capacitarsi – dice Bou Konate, presidente onorario di uno dei Centri -. Almeno adesso potremo riaprire e non dovrò più cercare di spiegare i motivi di un divieto che per tanti era incomprensibile».

Sui numeri, poi, non si prevedono problemi: ci sarà una turnazione se necessaria, il calendario c’è, la proposta dei Centri è messa nero su bianco, ora la parola spetta al Comune. Si legge un ulteriore passaggio, importante, nella sentenza del giudice Saltelli che peraltro riprende quello che già secondo il Tar determinava il fumus dei ricorsi e lo riassume bene l’avvocato Vincenzo Latorraca di Cantù che rappresenta entrambi i Centri: «L’uso dell’immobile per il culto non appare vietato dalle previsioni del piano regolatore comunale e il Comune non ha dimostrato vi fosse un cambio di destinazione d’uso tale da incidere sul carico urbanistico. La contestata violazione delle norme in materia di sicurezza, poi, non rientra tra le finalità del provvedimento di repressione dei pretesi abusi edilizi». In questa fase, dunque, le ordinanze comunali sono soltanto sospese ma le dichiarazioni agli atti suonano come un buon viatico in vista dell’udienza collegiale, fissata per il 19 marzo.

«Non intendo arretrare di un millimetro» ha dichiarato però la sindaca guerriera Anna Maria Cisint e ha indetto una conferenza stampa per denunciare minacce «ricevute in particolare attraverso social e siti in lingua inglese». Frutto, secondo Cisint, della lettura distorta effettuata da alcuni mezzi di informazione stranieri delle decisioni del Comune sull’utilizzo dei due centri culturali islamici (con la stampa italiana se l’era già presa, annunciando azioni legali a tutela dell’immagine del Comune). «Dovrebbero chiedere scusa quanti hanno detto falsità, perché questa amministrazione non ha mai proibito di pregare a nessuno» ha dichiarato. Mercoledì riunione riservata a Gorizia con Prefetto e Questore e, da ieri, Cisint gira con la scorta garantita dal ministero.