Mille organizzazioni con il Sudafrica. L’Europa si spacca in due
Non solo gli stati Tante realtà a sostegno del processo a L'Aja. Spagna, Belgio e Irlanda le voci più critiche verso Tel Aviv. Ma per ora non aderiscono
Non solo gli stati Tante realtà a sostegno del processo a L'Aja. Spagna, Belgio e Irlanda le voci più critiche verso Tel Aviv. Ma per ora non aderiscono
Più di mille organizzazioni, partiti, sindacati e movimenti in tutto il mondo che hanno espresso il loro sostegno al Sudafrica nella causa intentata contro Israele alla Corte Internazionale di Giustizia de l’Aja (Icj). Le organizzazioni si esprimono attraverso un appello congiunto ai Paesi che non appoggiano la richiesta di Pretoria per «dare forza alla denuncia formulata con forza e con buone argomentazioni».
È questo «il modo per assicurare che ogni azione di genocidio venga fermata e i responsabili possano essere assicurati alla giustizia», si legge nel testo firmato da sigle americane come il MalcolmX Center, britanniche come la Human Righs Commission e il Critical Studies of Zionism, ma anche spagnole, belghe, francesi e tedesche.
E non manca l’adesione di un gruppo sudafricano come il South African Jews for Free Palestine (Sajfp). Per l’Italia – defilata, almeno nei numeri – aderiscono Medicina democratica, l’Associazione di amicizia Italia-Cuba e la sezione nazionale della Women’s International League for Peace and Freedom (Wilpf).
FORMALMENTE, l’azione all’Aja del governo sudafricano è stata appoggiata dai 57 paesi dell’Organizzazione di Cooperazione islamica – che comprende l’Egitto, ma anche l’Albania – così come Turchia, Bolivia, Malaysia, Maldive, Namibia e Pakistan. Più complicato il discorso sui paesi europei, sia intesi singolarmente, che come stati membri dell’Ue.
Ma tra i 27 i distinguo non sono mancati. Al gruppo dei pro-Israele senza se e senza ma, guidato da Berlino, ha fatto da controcanto un’azione diplomatica di segno opposto portata avanti da Spagna e Belgio, i due paesi che hanno ricoperto l’incarico di presidenza rotante del Consiglio dei ministri Ue nell’ultimo semestre dello scorso anno (Madrid) e in quello attuale (Bruxelles).
Nel caso spagnolo è arrivato martedì scorso dalla leader di Podemos Ione Belarra un invito a Pedro Sanchez a sostenere il «coraggio» del Sudafrica nella causa all’Aja: una lettera ufficiale a governo e ministro degli esteri di Madrid e l’annuncio di una richiesta di dibattito parlamentare. D’altronde il premier socialista spagnolo non ha mancato in passato di criticare duramente il governo Netanyahu per il mancato rispetto del diritto internazionale.
Ancora più dirette le parole di Petra de Sutter, vicepremier belga ed esponente dei Verdi, che ha dichiarato di volersi spendere nel governo – di ampia coalizione a sette partiti, guidato dal liberale Alexander De Croo – per schierarlo dalla parte del Sudafrica contro la minaccia di genocidio. In precedenza, De Sutter aveva sostenuto la necessità di boicottare Tel Aviv, anche imponendo sanzioni commerciali e sottolineando come «bombardare Gaza a pioggia è disumano, ma Israele ignora con tutta evidenza qualsiasi richiesta di cessate il fuoco».
È POLEMICA invece in Irlanda, tradizionalmente sostenitore della causa palestinese, dove il premier Leo Varadkar, leader del partito liberal-conservatore Fine Gael, ha escluso che Dublino possa appoggiare Pretoria alla Corte dell’Aja, sottolineando la necessità di usare con cautela il termine «genocidio».
Ragion per cui, diversi partiti di opposizione della sinistra, tra cui Sinn Fein e Labour Party lo hanno accusato di «inaccettabile assenza di coraggio». A nulla sembra valsa però la loro protesta, né l’editoriale apparso mercoledì scorso sul quotidiano Irish Times, dalle cui colonne il professor Maeve O’Rourke, del Centro per i Diritti umani dell’Università di Galway ha scritto: «I nostri rappresentanti politici dovranno rendersi conto del fatto che l’Irlanda è tenuta ad agire come stato firmatario della Convenzione sul Genocidio» (trattato internazionale adottato dalle Nazioni unite nel 1948, ndr). «Sua responsabilità è quella di proteggere i diritti delle persone», ha concluso riferendosi alla disastrosa situazione umanitaria di Gaza.
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