Una marea di gente, una risposta forte e pacifica ai manganelli del giorno prima, dalla parte della Palestina e contro il massacro di Gaza. A Milano hanno sfilato per quasi quattro ore oltre 25mila persone, molte arrivate da fuori per questa manifestazione nazionale convocata da associazioni palestinesi e sindacati di base. Che i numeri sarebbero stati alti lo si è capito presto, dai quasi 70 pullman arrivati in città. Troppo piccola piazzale Loreto per contenere l’inizio del corteo che è partito puntuale per non ammassare troppe persone nelle vie d’accesso. Davanti le comunità e le associazioni palestinesi, poi i lavoratori e le lavoratrici dei sindacati di base, gli studenti, i centri sociali, le associazioni, mischiati alla gente comune. A inizio corteo fa la sua comparsa anche l’ex M5s Alessandro Di Battista, che poi si ferma al banchetto della sua associazione Schierarsi.

Ieri era il ventesimo sabato dall’inizio dei bombardamenti israeliani su Gaza e a Milano la ventesima manifestazione del sabato. È stata la più partecipata, quella dove i figli della diaspora palestinese più si sono mischiati alle reti solidali italiane che hanno scelto di esserci. Il corteo ha sfilato da piazzale Loreto a largo Cairoli, nel centro di Milano. Era uno degli obbiettivi della manifestazione: portare le bandiere palestinesi in quelle strade fino a ieri vietate ai cortei per Gaza. Qualcuno avrebbe voluto concludere il corteo in piazza Duomo, ma Questura e Prefettura avevano avvertito per tempo che le strade verso la Madunina sarebbero state sbarrate. «Con la resistenza palestinese, blocchiamo le guerre coloniali e imperialiste» recitava lo striscione d’apertura scritto in italiano e arabo.

La parola che torna più spesso negli interventi dal camion è «genocidio» insieme alla richiesta di «fermare il massacro a Gaza». Lo spezzone dei sindacati di base Si Cobas, Adl Cobas, Cub, Usb, per citarne alcuni, è pieno di lavoratori dei magazzini, della logistica, di rider arrivati con le loro biciclette, nella stragrande maggioranza dei casi stranieri, che nel sindacalismo di base hanno trovato voce e rappresentanza. La questione palestinese se la portano dietro dai paesi d’origine: sono egiziani, marocchini, tunisini. «No war ma class war» ha scritto su alcuni cartelli un gruppetto di loro mischiati alle bandiere dei sindacati di base. Poi la parte più giovane del corteo, migliaia di under 30.

Basta fare un giro veloce sui social per vedere quanto la questione palestinese è sentita tra i giovani: Ghali docet. Si vedono anche le bandiere di Sinistra italiana, Potere al popolo, Rifondazione comunista. Dei Fridays For Future, dei Sentinelli, della rete No Cpr, dell’Arci, di diverse sezioni Anpi milanesi. Nei pressi di piazza della Repubblica un gruppo di manifestanti prova a staccarsi dal corteo per dirigersi per pochi metri verso la strada che porta al Consolato degli Stati Uniti. La strada è bloccata dalle camionette della polizia e finisce tutto con un lancio di uova.

Poco più avanti qualcuno danneggia le vetrine di un supermercato Carrefour, accusato di legami con Israele. In largo Cairoli il corteo ci arriva lentamente perché, come per la piazza di partenza, anche quella d’arrivo è troppo piccola per accogliere tutti. Gli ultimi interventi parlano della «censura dei media», del governo «sdraiato sulle posizioni israeliane», della necessità di «sostenere la resistenza palestinese contro il genocidio». Vengono ricordati gli studenti manganellati a Pisa, Firenze e Catania, il governo è accusato di «voler creare tensione attorno alle mobilitazioni in solidarietà alla Palestina». Se l’obbiettivo delle manganellate del giorno prima era anche di spaventare i giovani, questa piazza ha detto che di paura non ne ha. Un messaggio che probabilmente varrà anche per altre mobilitazioni e che non si esaurisce con la solidarietà a Gaza.