Mezzo secolo fa
Circa mezzo secolo fa, appendere una bandiera rossa a un albero era il miglior segnale di libertà che si potesse immaginare, nelle notti di coprifuoco a Roma come in ogni […]
Circa mezzo secolo fa, appendere una bandiera rossa a un albero era il miglior segnale di libertà che si potesse immaginare, nelle notti di coprifuoco a Roma come in ogni […]
Circa mezzo secolo fa, appendere una bandiera rossa a un albero era il miglior segnale di libertà che si potesse immaginare, nelle notti di coprifuoco a Roma come in ogni città europea invasa e occupata dalle armate del terzo Reich. Oggi, a Roma, una bandiera rossa a un balcone suscita qualche scandalo. A quanto pare è cambiato qualcosa, in questo mezzo secolo.
Ma si può cominciare un articolo con «mezzo secolo fa»? È un vizio anagrafico, sono le catene del passato? Può darsi, però non siamo i soli prigionieri della memoria. C’è anche il Bundestag, che pure non è il Reichstag, che si ricorda e ridiscute dell’Oder-Neisse e dei confini territoriali della grande Germania del 1937. Aggiungendo in compenso di non avere rivendicazioni territoriali, che è un modo neppure troppo elegante di porre il problema negandolo.
Se le cose continueranno a procedere a questa velocità, nel cuore d’Europa, chissà che non ci capiti addirittura di riparlare di Danzica. Non quella degli operai dei cantieri navali che hanno fatto in questi anni la rivoluzione democratica polacca, ma la Danzica che fu mezzo secolo fa una miccia della seconda guerra mondiale come Sarajevo lo era stata della prima, Anche Wałęsa, a quanto pare, si è ricordato con qualche turbamento di questi storici precedenti della sua città, in questi giorni.
Fantasmi, senza dubbio, che si agitano più nel nostro subconscio che altrove. Non siamo certo di fronte a un diverso finale, come al cinema, della guerra antifascista, né ai problemi di una nuova guerra di rivincita. Queste cose non si fanno più con mezzi militari, i marchi hanno un passo da gigante più efficace e molto più accettabile del passo dell’oca. Evidentemente, certi fantasmi non si agitano neppure nell’animo russo, se chiede al mondo solo perdono per le proprie colpe e non più anche qualche ringraziamento ai popoli liberati dal nazismo, forse nella convinzione postuma che anche Auschwitz fosse un lager staliniano. Se non forse questi fantasmi, molti altri interrogativi affollano però le cancellerie, le sedi diplomatiche, le teste d’uovo e le banche d’Europa e del mondo, a ovest più che a est. Il dopo Yalta assume contorni molto diversi da quelli che si potevano fino a ieri immaginare, quelli cioè di un nuovo assetto europeo negoziato, contrattato e in qualche modo regolato, in un quadro preliminare o parallelo di disarmo generale. Qui si è invece spalancata, se non di colpo certo a velocità sismica, una voragine continentale. E le voragini inghiottono di tutto. È bene saperlo, per lo meno.
Se le rivoluzioni non sono un balletto, non lo sono di sicuro neppure sconvolgimenti geo-politici di questa natura, che rimettono in discussione assetti statali, confini territoriali e militari, equilibri macroeconomici e imperiali. E gli interrogativi che si affollano non sono solo pesanti ma impellenti, evidentemente, se Bush e Gorbaciov si sono dati un appuntamento che ha tutta l’aria di una emergenza.
Come cittadino europeo, continuo ad augurarmi che l’unificazione tedesca tardi ancora una ventina d’anni. Mi rallegro che da parte sovietica, con un po’ più di voce in capitolo, sia stato riaffermato proprio ieri che un simile esito non può essere pensato se non contestualmente alla fine della divisione del continente in «blocchi contrapposti». Già, ma se dalla voragine scaturisse un pronunciamento plebiscitario del popolo tedesco, per una dinamica naturale o secondo logiche imperiali, chi riuscirà a governare una simile contraddizione?
Tornando a mezzo secolo fa, è lì che abbiamo imparato a diffidare delle classi dirigenti dell’avanzato occidente (o anche dell’avanzato oriente), dei loro arsenali, delle loro istituzioni inclini a cedere a ogni tentazione, della loro avidità che le ha portate spesso a scannarsi a vicenda ma soprattutto a scannare il prossimo. Non diffidiamo invece della domanda di democrazia che ha rovesciato i regimi artificiali dell’est, fino a Berlino, e che impronta di sé la scommessa epocale (o cos’altro è?) di Gorbaciov. A condizione che questo sommovimento risvegli, anche a ovest, nuove forze sociali e consapevolezze politiche, e più gente di quanto oggi non accada. Dovunque sia, a est e a ovest, per non dire in Germania o nelle Germanie, c’è oggi più bisogno di ieri di una sinistra degna del nome. Anche di qualche bandiera rossa, per così dire.
*l’editoriale pubblicato sul manifesto del 10 novembre 1989
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