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Mezzalama: «La manutenzione della montagna non basta, si è costruito troppo»

Volontari spalano il fango foto AnsaBardonecchia, dopo la frana – Ansa

La frana di Bardonecchia L'esperto di valutazione di impatto ambientale e sociale: «C’è stata una forte pioggia a monte, il fiume si è gonfiato ed è arrivata giù una massa di detriti. Siamo alla testa di una serie di corsi d’acqua con forte pendenza, un territorio instabile»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 15 agosto 2023

È ancora allerta a Bardonecchia, in provincia di Torino, dove domenica sera si è abbattuta una bomba d’acqua e fango innescata da una frana a monte, vicino al confine francese, causata dalla pioggia. Roberto Mezzalama è esperto di valutazione di impatto ambientale e sociale, di sostenibilità per grandi progetti infrastrutturali, membro del Cda del Politecnico di Torino e professore a contratto dell’Università di Torino.

Secondo l’Arpa l’evento che ha generato la colata di fango è stato molto localizzato. L’area che arriva a Bardonecchia che caratteristiche ha?
C’è stata una forte pioggia molto a monte, lontano dalla cittadina, il fiume si è gonfiato ed è arrivata giù una massa di detriti. Siamo in montagna, non altissima ma abbastanza alta, alla testa di una serie di bacini idrici, piccoli corsi d’acqua che hanno una forte pendenza. Siccome non può esserci la copertura del bosco ovunque, sono condizioni di relativa instabilità. Fenomeni di questo genere, debris flow (flusso di detriti), succedono perché ci sono condizioni di instabilità. Domenica sera, in particolare, c’è stato un temporale forte molto localizzato: la pioggia ha saturato il terreno e la massa ha cominciato a scendere verso valle.

Occorre più manutenzione oppure delocalizzare case e infrastrutture, lontano dai corsi d’acqua?
Entrambe le cose. Ci sono già una serie di opere idrauliche costruite negli anni, la colata è stata in parte trattenuta da briglie, griglie selettive che cercano di fermare il materiale che scorre a valle. Manutenzione e prevenzione sono importanti per limitare gli effetti di questi fenomeni. Ma è anche vero che nei decenni abbiamo costruito molto vicino ai corsi d’acqua, un po’ fregandocene dell’evoluzione naturale del territorio. Sicuramente avere intorno ai corsi d’acqua molte costruzioni fa sì che poi quando succedono eventi estremi arrivano anche i danni. Soprattutto in paesi di montagna, interessati da uno sviluppo turistico intenso in anni in cui di queste cose si parlava poco. L’Italia è un paese prevalentemente montano-collinare, si è costruito dove sarebbe stato meglio non farlo. Una questione che andrebbe affrontata, anche decidendo la demolizione di situazioni che non si possono difendere. Ancora negli anni Novanta e inizio Duemila ho visto cementificare luoghi dove non aveva nessun senso.

Il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin ha detto: «A chi non trova nulla di più utile da fare che una polemica sui fondi Pnrr destinati al dissesto va ricordato che sono stati inseriti nella programmazione dei Fondi Sviluppo e Coesione 2021-27». C’è il pericolo che si perdano progetti?
Sarebbe stato meglio non arrivare alla riprogrammazione perché abbandoniamo un percorsi già tracciato per un altro che potrebbe avere delle sorprese. Capisco anche che il bilancio dello Stato non è così roseo, come al solito la coperta è corta: qualcuno ci aveva dato un pezzo di coperta in più e non la usiamo? È chiaro che c’è un problema. Però temo anche molto l’effetto ingorgo provocato dai progetti del Pnrr: stanno arrivando fondi che oggettivamente è difficile gestire, non ci sono abbastanza tecnici, si sta facendo di corsa quello che avremmo dovuto fare in dieci anni e poi ci sono tutta una serie di punti interrogativi che andranno verificati.

Cos’è che non la convince?
Stiamo andando di corsa. Vedo tantissimi enti che hanno tirato fuori dai cassetti progetti vecchi per poter rispettare le scadenze serrate. Questo non va bene perché rischiamo di realizzare investimenti concepiti vent’anni fa, in una situazione socioeconomica, climatica e tecnica ormai superata. C’è stato un momento in cui si assisteva ai piazzisti dei progetti del Pnrr. In conclusione, da un certo punto di vista sono preoccupato per il fatto che mostriamo l’ennesimo segno di debolezza strutturale nel non essere in grado di usare i fondi del Piano di ripresa e resilienza. Dall’altro lato mi rendo conto che non è la panacea di tutti i mali proprio perché, gestendolo così di corsa, molte delle cose che si stanno facendo non hanno tutta questa grande razionalità.

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