«Mettiamo al centro la questione sociale. Davvero»
Politica

«Mettiamo al centro la questione sociale. Davvero»

Verso il voto Parla Andrea Catarci, candidato del centrosinistra a Roma
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 17 settembre 2022

Andrea Catarci, assessore al decentramento, alla partecipazione e ai servizi al territorio di Roma, è candidato all’uninominale per il centrosinistra nel collegio romano che comprende i municipi III, IV, V e VI: gran parte della periferia orientale della capitale. Il suo punto di osservazione è utile a ricostruire una mappa della geografia sociale del voto del 25 settembre. «Sto incontrando decine di persone per le strade, per le piazze, nei negozi, nei mercati. Vado in quartieri in cui manca praticamente tutto, con standard terribili per reddito, lavoro, dispersione e abbandono scolastico, l’offerta culturale».

Che voci raccoglie?
Si parla di reddito, tanti esprimono le loro difficoltà per il caro-bollette e per il lavoro che non c’è e che quando c’è è povero: i working poor esistono davvero, non sono solo una categoria sociologica.

La destra è davvero così egemone nelle periferie?
Il mio collegio conta 870 mila abitanti, che sarebbero la quarta città d’Italia. C’è molta sfiducia in genere nei confronti dei livelli istituzionali. La protesta e a volte anche l’ostilità nei confronti della politica solo in pochi casi assume tratti ideologici: è una forma di rabbia sociale, ce l’hanno sostanzialmente con tutti. Può assumere un segno di destra, e oggi c’è una leader che pare intercettare i consensi almeno stando ai sondaggi. Ma la realtà è più contraddittoria e sfumata, questi ultimi giorni sono uno snodo decisivo per persone che sono catalogate come indecise o non intenzionate ad andare al voto. Bisogna far sentire che abbiamo davvero interesse a mettere al centro la questione sociale, giovanile e ambientale. Anche aggiustando il tiro rispetto al recente passato.

Su Roma e il termovalorizzatore è sorto il casus belli che ha creato la rottura del campo largo. Quanto peserà la «questione romana» in queste elezioni?
Quello che veniva chiamato campo largo si è incrinato per molti motivi. Si è parlato del termovalorizzatore ma la distanza che si è creata tra polo progressista e M5S si è misurata su questioni di carattere nazionale. In primo luogo sul giudizio diverso sul governo Draghi. Ma la questione romana è vera, non riguarda solo questioni di schieramento ed ha carattere nazionale. Roma è la capitale con maggior concentrazione al mondo di beni culturali, è una capitale mondiale della diplomazia ed è una capitale del Mediterraneo che si trova al centro di quella parte di Europa. E non ha un riconoscimento adeguato del suo status così come avviene per Londra, Parigi e Berlino.

Nella prossima legislatura ci sarà modo di lavorare ai poteri di Roma capitale?
Col governo Draghi si era lavorato a fondo sullo status di Roma. Su due crinali: quello della legge costituzionale e quello della legge ordinaria, per portare a Roma risorse economiche adeguate in maniera continuativa e potestà legislativa sul modello di una mini-Regione. Il discorso va ripreso da qua. Formalmente nel passato parlamento nessuna forza politica era contraria. Ma sappiamo quanto radicati e quanto forti siano gli istinti anti-romani nelle destre, non solo in quelle leghiste, per motivi di interesse più che di cultura.

Che partita si apre dal 26 settembre per la sinistra attraversata da tante divisioni?
Bisogna rilanciare il radicamento nei quartieri, i territori e le città all’insegna di una chiara opzione: siamo quelli che devono ridurre le disuguaglianze crescenti, contrastare le scelte ambientali devastanti, che devono essere di nuovo riconosciuti come elementi vitali delle nostre comunità di riferimento. Sia che si debba essere parte di un’opzione di governo sia che si debba puntare su una forte opposizione sociale al governo delle destre, dobbiamo mettere al centro la tutela degli ultimi, dei penultimi e di un ceto medio da tempo in caduta libera in un paese in cui non c’è più mobilità sociale. Bisogna costruire comunità territoriali solidali e coalizioni sociali che difendano i più deboli: facendo questo siamo i più credibili. La gran parte dei candidati delle destre fanno campagna coi faccioni dei loro leader, non fanno proposte specifiche per risolvere i problemi. Diceva Ernesto De Martino che ogni volta che un mondo finisce arrivano le elaborazioni e dopo queste si riparte. Noi siamo chiamati a una ripartenza, dopo la fine del mondo che ha visto spesso la parola sinistra perdere di senso proprio per gli strati popolari che dovrebbe rappresentare.

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