Ieri mattina ai microfoni di Radio 24 il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin ha attaccato «alcuni pezzi di cultura ambientalista», in particolare quelli che vivrebbero «al loft del ventesimo piano del grattacielo, per cui è più facile dire no che sì». Non sappiamo a che piano viva Andrea Goltara, direttore del Cirf, il Centro italiano per la riqualificazione fluviale, ma è certo che non ha apprezzato le parole del ministro, in particolare quando ha detto che «con questo clima l’assoluta libertà dei fiumi può creare danni», attaccando chi non vorrebbe nessun opera e che frenerebbe l’esigenza «di trovare un punto di equilibrio, per la convivenza dell’uomo con la natura, e qualche opera va fatta». Pichetto elenca dighe, grandi vasche di laminazione, gli argini in alcuni luoghi.

Andrea Goltara
Non serve un piano straordinario per realizzare un’ulteriore cementificazione del territorio, ma per restituire spazio all’acqua

Che cosa vorrebbe dire a Pichetto Fratini?
Le affermazioni del ministro chiaramente dimostrano che questo governo ancora non ha capito l’urgenza di cambiare direzione. In Emilia-Romagna non è che manchino gli argini, che non hanno retto, ma siamo di fronte a contesti di esondazione di fiumi canalizzati da un secolo. Affrontiamo eventi di tale eccezionalità che ci fanno capire come l’assetto attuale di uso del territorio e del sistema di difesa dalle alluvioni non è più sufficiente, la soluzione non può essere aumentare le opere esistenti, artificializzando ulteriormente il territorio. Bisogna restituire libertà e spazi ai corsi d’acqua, lo so che è un passo difficile, epocale, che richiede molti sforzi, ma è ineludibile. Non serve un piano straordinario per realizzare un’ulteriore cementificazione del territorio, ma per restituire spazio all’acqua.

È una posizione da ambientalista radical chic?
No, lo dice anche il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Quando il ministro dice che chi non vuole nuovi argini rappresenta la posizione del no, non ha capito: arretrare gli argini, ricostruire opere più lontane dai corsi d’acqua, sono interventi e investimenti importanti che sarebbero anche economicamente vantaggiosi.

Perché l’equilibrio attuale non regge più?
È un sistema fragile, che si basa sul fatto che la struttura arginale tenga sempre e ovunque. Una fragilità locale crea danni enormi. L’Idice dov’è esondato, alle porte di Bologna, era canalizzato così dagli anni Cinquanta, perché l’equilibrio che ha retto per tanti anni oggi non c’è più, gli eventi attuali sono ormai completamente diversi. Le statistiche su cui si basano le mappe di rischio sono costantemente messe in discussione: gli eventi alluvionali estremi diventano sempre più frequenti e una piena che fino a ieri si considerava centennale potrebbe ripetersi anche ogni dieci anni. Ma c’è chi sembra non averlo capito: la Liguria, ad esempio, ha appena approvato una norma che consente di costruire anche in zone a rischio. Far costruire in zona esondabili è una scelta gravissima. Quello che fa il governo è portare avanti o palliativi o interventi controproducenti, come il decreto che prevede la possibilità di raccogliere il legname dai fiumi da parte degli agricoltori, misura che secondo alcuni ridurrebbe il rischio, cosa che può essere vera o meno, a seconda dei casi, ma farlo in questo modo, senza un’adeguata pianificazione, non ha senso. Liberalizzare la manutenzione dei corsi d’acqua, negando di fatto la pianificazione di bacino con interventi locali e spot è profondamente sbagliato e crea danni ambientali inutili. Tutto questo perché non c’è comprensione dei fenomeni che abbiamo davanti.

L’acqua dei fiumi lasciata libera crea più danni?
Il contrario: restituire spazio ai fiumi significa fare qualcosa di utile e coerente con i piani di adattamento. Non capiscono cosa significhi lasciare spazio ai corsi d’acqua. In Pianura Padana nessuno immagina di lasciarli liberi di esondare, ma di risolvere il problema di un eccesso di canalizzazione che non sta più in piedi.