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Meloni si riconcilia con il Colle ma non con i magistrati

Meloni si riconcilia con il Colle ma non con i magistratiGiorgia Meloni alla festa del Tempo – Ansa

Cronache di governo Alla festa del "Tempo" la premier esalta la manovra

Pubblicato 4 giorni faEdizione del 24 ottobre 2024

«Non intendo consentire che una soluzione individuata nel pieno rispetto del diritto venga smontata perché una parte della politica, non parlo della magistratura, non è d’accordo con questo modo di affrontare l’immigrazione. Sono determinata ad andare avanti e alla fine il modello Albania funzionerà».

Rimasta muta per due giorni in nome della pace col Colle, Giorgia Meloni si sbottona una volta apposta la firma presidenziale in calce al sospiratissimo decreto migranti, complice l’intervista con il direttore Tommaso Cerno alla festa per gli 80 anni del quotidiano Il Tempo alla Galleria nazionale d’arte moderna. Sembra andar giù dura. In realtà è cauta: non a caso sottolinea di avercela con «una parte della politica», non con i togati. Sono i politici a voler bloccare il protocollo perché «sanno che può essere la chiave di volta per cambiare l’intera questione dei flussi migratori». Resistenze e ostacoli previsti: «Vuol dire che convocheremo ogni volta un cdm e cercheremo di risolvere». È una promessa e una minaccia ma senza chiamare in causa la magistratura, che pure ha costituito e costituisce l’ostacolo. Ipocrisie necessarie per compiacere un capo dello Stato con cui la premier intende mantenere buoni rapporti.

Almeno in superficie i rapporti sono tornati ottimi. Meloni e Mattarella si erano incontrati qualche ora prima, si erano appartati alla fine del Consiglio superiore di difesa per discutere diversi argomenti, con l’Albania in posizione regina. Il clima era rasserenato anche se appena 48 ore prima il braccio di ferro era stato forse il più teso dalla nascita di questo governo in poi. La premier e i suoi ministri volevano molto più di quel che il decreto contiene: una modifica procedurale che permettesse di sottrarre ai magistrati il potere di invalidare i trasferimenti. Si sono arresi di fronte alla determinazione del Colle. Hanno accettato di limitarsi a stilare la lista, promossa a legge, dei Paesi considerati sicuri.

Solo dopo alcune ore si sono resi conto che così il decreto era scritto sull’acqua dal momento che non cambiava nulla. Il passaggio aggiunto in extremis, quello sui ricorsi contro le sentenze in appello invece che in Cassazione, permette almeno di dire che qualcosa di diverso c’è. Ma per il Quirinale lo fa senza arrecare danno di sorta. Mattarella non ha mai avuto dubbi sul firmare anche la seconda versione. I ritardi che hanno bloccato fino a ieri pomeriggio il decreto erano dovuti alla necessità di reperire le coperture, soprattutto per gli straordinari dei magistrati d’appello.

Ma quel che la premier pensa realmente delle scelte della magistratura è evidente comunque. «La sentenza è irragionevole», sbotta: « Bangladesh ed Egitto contano circa 280 milioni di abitanti. Stiamo dicendo a 280 milioni di potenziali immigrati che possono venire tranquillamente in Italia». Il problema, prosegue, «non è l’Albania, è dal decreto Cutro che il trattenimento a fini di rimpatrio non viene convalidato». Sino all’affondo: «La sentenza è dettata da una visione del problema molto diversa da quella del governo».

Non sono i toni truculenti con quali la premier si era espressa a botta calda ma la sostanza è identica: una parte delle toghe usa le sentenze per imporre la propria visione politica. Dunque lo scontro proseguirà e in questo quadro va letta la scelta di accelerare ulteriormente la marcia della separazione delle carriere, con fine novembre come traguardo per l’approvazione in prima lettura.

Parla anche di tutto il resto la premier. Ma non va oltre il repertorio e il già numerose volte detto, dalla manovra che è quanto di meglio si poteva fare ai soldi per la sanità che non ci sono perché i 5 Stelle li hanno buttati via col Superbonus. Dal caso di Francesco Spano, il capo di gabinetto del ministro Giuli che ieri si è dimesso («non ne abbiamo parlato, ho capito poco…», giura) alla Liguria, la prossima vera tappa importante dello scontro politico. La leader della destra ci spera. «Non dico niente perché sono scaramantica». Ma che creda in una vittoria che appena un mese fa sembrava difficile è evidente senza bisogno di sfoderare amuleti di sorta.

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