Meloni gioca in casa e scivola sul velluto delle domande di Bruno Vespa: più comode di come non si potrebbe. Quel che la premier ha in mente, il chiodo fisso, è la riforma costituzionale, il premierato: «L’eredità che voglio lasciare all’Italia». Annusa il referendum e va subito giù pesantissima: «Quelli della sinistra sono per il cancellierato, che istituzionalizza le larghe intese, e contro il premierato perché vogliono un sistema in cui il governo si fa nei palazzi e loro governano anche se perdono le elezioni. Nel mio modello la democrazia è in mano ai cittadini». Meglio prepararsi per tempo: il ritornello intonato ieri ci accompagnerà per anni, ripetuto a ritmo martellante e ossessivo.

IL PUNTO DEBOLE, la premier lo sa benissimo, è il ruolo del capo dello Stato. Gli italiani ci tengono, il margine di rischio sta lì. Sotto con la negazione secca dunque, strategia sempre efficace: «Dicono che la riforma indebolisce i poteri del presidente. Invece sono stata molto attenta a preservarli. È nel cancellierato che il capo dello Stato ha meno poteri». Figurarsi che al presidente resta come prerogativa la nomina dei ministri. Sulla revoca invece qualche dubbio c’è: «Lasciamo la parola al parlamento». Ci sarebbe appunto anche il parlamento, che nell’Italia riformata non si capisce più cosa ci stia a fare. L’intervistata tace, l’intervistatore glissa. È già centrale solo per modo di dire, tanto vale passare al colpo di grazia. Nella riforma la legge elettorale non c’è, pur essendo un nodo decisivo. Proprio per questo Meloni non si espone: «Sul ballottaggio sono laica». Però, visto che si parla di presidente della Repubblica sarà bene chiarire le cose: «Se vogliono l’elezione diretta del presidente io non sono contraria». Ai confini della minaccia.

L’ARGOMENTO SCOMODO dovrebbe essere la Sanità, essendo la spesa italiana inferiore a quella dei principali Paesi europei. Corre in soccorso la formula sempreverde: negare, negare, negare «L’unica tesi che non si può sostenere è che abbiamo tagliato. I numeri non sono opinioni e il Fondo sanitario 2024 è al massimo storico di sempre». Certo le prestazioni sono quelle che sono però «le liste di attesa sono una priorità del governo». Passiamo oltre. Sino a toccare le divisioni nella maggioranza. Divisioni? Ma quali divisioni: «Dicono che i rapporti con Salvini sono pessimi. Invece è nata un’amicizia al di fuori dalla politica». La magia del Burraco.

Un altro colpo alla odiata sinistra, «l’invio della commissione d’accesso a Bari era doveroso. L’idea che la sinistra ha più diritti degli altri non mi ha mai convinta», e un affondo persino sul caso Salis: «La campagna della sinistra non la aiuta. Certo le manette ai polsi impattano ma lì fanno così con tutti». Paese che vai… La rivendicazione è a tutto campo: «I test per i magistrati? Puro buon senso. La norma Salvini sulla Casa? Ragionevole». Su un punto però la premier un po’ mette le mani avanti e si tratta addirittura del fiore all’occhiello del governo, il cuneo fiscale. Faccenda incandescente col Def ormai dietro l’angolo: «Sono per mantenerlo nella finanziaria. Ma con 200 miliardi di bonus edilizi non è facilissimo». Nel caso, prendetevela con Conte.

ANCHE LE CHIACCHIERE sul gelo con l’amica von der Leyen sono «fantascienza» ma qui il terreno è scivoloso, si rischia di scoprire il fianco con l’amicone Salvini. Facile che una coltellata, sempre amichevole, ci scappi e la premier frena: «Collaborare con von der Leyen era doveroso ma io spero che Ecr abbia il suo candidato e punto a una maggioranza di centrodestra. Sono indisponibile ad alleanze strutturali con la sinistra». In politica i giochi di prestigio si fanno con le parolette: votare con il Pse la presidente sarà alleanza «non strutturale».

DOPO LE 24 ORE per l’opposizione suicide di Montecitorio, con le due inspiegabili mozioni di sfiducia, ci si aspetterebbe una parola su Santanchè. La ministra al momento del voto su di lei ieri non era in aula ma a Napoli: «Non è che mi sottraggo. Ho cose più importanti». Incassato senza sforzo, 213 voti contro 121, il regalino dell’opposizione, che non la blinda ma un po’ la aiuta, la ministra già canta vittoria: «Io sono tranquilla. Il voto del parlamento sovrano è chiaro». Bisognerebbe sapere cosa pensa di fare la premier in caso di rinvio a giudizio. Ma non glielo chiede nessuno.