Economia

Meloni in viaggio d’affari: siglato sul gas accordo da 8 miliardi

Il Primo Ministro del Governo di Unità Nazionale libico, Abdel Hamid al-Dabaiba e l'amministrato delegato dell'Eni Claudio DescalziIl Primo Ministro del Governo di Unità Nazionale libico, Abdel Hamid al-Dabaiba e l'amministrato delegato dell'Eni Claudio Descalzi

Intesa tra l’Eni e la Noc per l’estrazione di otto miliardi di metri cubi l’anno per i prossimi 25 anni a partire dal 2026

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 29 gennaio 2023

Il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, ha definito «storico» l’accordo siglato ieri a Tripoli, in Libia, tra Eni e Noc, la National oil corporation libica. L’intesa, firmata dall’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e dall’amministratore delegato della Noc, Farhat Bengdara, prevede l’avvio dello sviluppo di un progetto considerato strategico per aumentare la produzione di gas e rifornire il mercato interno libico oltre a garantire l’esportazione di volumi in Europa. L’accordo – che segna la continuazione di una «lunga e proficua collaborazione tra Italia e Libia» – è stato firmato alla presenza del premier italiano Meloni, e del primo ministro del Governo di unità nazionale libico, Abdul Hamid Al-Dbeibah.

L’INVESTIMENTO complessivo è stimato in 8 miliardi di dollari. «Strutture A&E», questo il nome dell’intervento, è il primo grande progetto ad essere sviluppato nel Paese dall’inizio del 2000. Una joint-venture paritetica Eni-Noc dovrebbe operare in due aree esplorative in un blocco marino dove è già stato scoperto gas nelle strutture «A» ed «E», circa 140 chilometri a nord-ovest di Tripoli.

I due giacimenti hanno riserve stimate per 6 trilioni di piedi cubi e per svilupparli saranno necessari circa tre anni e mezzo. Al ritmo di 850 milioni di piedi cubi al giorno, la produzione potrà andare avanti per 25 anni. In metri cubi, si tratta 8,78 miliardi l’anno. Dato che la produzione di gas dovrebbe iniziare nel 2026, stiamo parlando di un orizzonte che si spinge fino al 2051, oltre l’anno limite indicato dalla Commissione europea all’Italia e agli 27 Paesi membri per raggiungere «zero emissioni nette di gas a effetto serra». Per farlo, e ridurre le emissioni climalteranti, che sono la causa del riscaldamento globale, bisogna smettere di sfruttare le risorse di combustibili fossili, lasciando sotto terra anche quelle già scoperte, come suggeriscono da anni autorevoli paper pubblicati sulla rivista Nature. «Entro il 2050, scopriamo che quasi il 60% del petrolio e del gas metano fossile, e il 90% del carbone, dovranno rimanere non estratti per rimanere entro un budget di carbonio di 1,5 °C» spiega l’ultima ricerca, Unextractable fossil fuels in a 1.5 °C world, uscita nel 2021.

QUESTO a meno di non scommettere, come sembrano fare Eni e Noc, nella tecnologia della cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, un espediente che – come ricordava sul manifesto di ieri Federico M. Butera, commentando la visita di Meloni in algeria e l’accordo firmato con Sonatrach – la comunità scientifica rigetta per numerose ragioni. Non è tempo di nascondere le emissioni sotto il tappeto, insomma. E invece, il progetto libico di Eni prevede anche la costruzione di un impianto di carbon capture and storage a Mellitah, che – secondo le veline del cane a sei zampe – consentirà una significativa riduzione dell’impronta carbonica complessiva, in linea con la strategia di decarbonizzazione di Eni. «L’accordo di oggi consentirà di effettuare importanti investimenti nel settore dell’energia in Libia, contribuendo allo sviluppo e alla creazione di lavoro nel Paese, e rafforzando la posizione di Eni come primo operatore in Libia» ha sottolineato Descalzi. Si tratta, ha aggiunto, «di progetti che sono quasi tutti molto maturi, sono riserve che sono già state scoperte e possono essere messe in produzione velocemente», schiaffeggiando virtualmente la comunità scientifica internazionale.

GIORGIA MELONI, però, gongola: «L’intesa fra Eni e Noc rilancia una serie di iniziative per diversificare fonti energetiche, per lavorare sulla sostenibilità delle fonti energetiche. È un’iniziativa fatta soprattutto per garantire energia ai cittadini libici e maggiori flussi verso l’Europa, per un progetto che si comincia a conoscere fuori dai confini nazionali: quello di fare dell’Italia un hub di approvvigionamento energetico per l’intera Europa e quindi aiutare l’Europa nelle forniture energetiche in un momento di difficoltà e dare maggiore strategicità al ruolo della nostra nazione». Lo ha affermato nelle dichiarazioni congiunte a Tripoli con il primo ministro del Governo di unità nazionale libico, Abdul Hamid Dbeibah. Non è d’accordo, necessariamente, Giuseppe Onufrio, di Greenepace: «La strategia del governo, guidata da Eni, è sempre quella di cambiare fornitore e non quella di affrancarsi dalla dipendenza dalle importazioni di gas, da Paesi la cui stabilità politica è una scommessa. E poi, a chi serve questo “hub del gas”? Alla Germania che ha già azzerato le importazioni dalla Russia? Serve una vera svolta in senso rinnovabile, che sarebbe ampiamente possibile come mostrano anche gli scenari della confindustriale Elettricità Futura. Il piano industriale di Eni accorpa un 25% su “rinnovabili e Plenitude”: la neonata azienda però sulle rinnovabili ricava 85 milioni su oltre 7 miliardi. E nemmeno sul fantomatico idrogeno l’Eni specifica come verrà prodotto (immaginiamo dal gas). Tutto ciò conferma la natura truffaldina e di puro greenwashing del piano industriale Eni ampiamente sostenuto (anche) da questo governo».

IERI IL MINISTRO del Petrolio della Libia, Mohamed Aoun, ha disertato la cerimonia della firma dell’accordo per lo sviluppo dei due giacimenti di gas offshore. Il presidente della Noc, Farhat Bengdara, ha risposto a una domanda sull’assenza del ministro affermando che «il lavoro della Noc è legale».

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