Potremmo chiamarla strategia del sorriso. Nel giorno del trionfo la destra tutta sfodera solo le armi della distensione, nei rapporti interni come in quelli esterni. L’implosione dell’alleanza è stata profetizzata per troppo e da troppi perché i partiti non considerino prioritario smentire quei cupi vaticini. Tutti ma Fratelli d’Italia più degli altri, anche a costo di qualche sacrificio. Nelle intenzioni di via della Scrofa la presidenza di una delle due Camere dovrebbe andare a FdI, l’altra a uno dei due alleati. Ma se la situazione dovesse farsi tesa sarebbero i trionfatori a fare un passo indietro.

ANCHE PIÙ IMPORTANTE la costruzione di un rapporto di fiducia con le istituzioni. L’esperienza del governo gialloverde nel 2018 ha insegnato molto. La destra non ha alcuna intenzione di fare lo stesso errore andando allo scontro con il Colle. I ministeri nevralgici saranno quindi concordati con il Quirinale. Significa che per Salvini la strada del ritorno al Viminale è ostruita. Molto meglio un prefetto gradito al capo dello Stato. Per gli stessi motivi la futura premier ritiene sconsigliabile assegnare a un forzista gli Esteri: vedi mai ci dovesse scappare qualche affabilità di troppo nei confronti del nemico russo. Antonio Tajani, che ci aveva messo il cuore sopra, potrebbe essere risarcito con la presidenza della Camera. Ma a capo della diplomazia italiana sarebbe più opportuno un diplomatico come l’ambasciatore Stefano Pontecorvo o, con minori possibilità, Gianpiero Massolo. Per la Difesa sono in ballo sia Ignazio La Russa, ministro dal 2008 al 2011, che Guido Crosetto. Ma questo, per ora, è il solito valzer dei nomi e delle poltrone. Quel che conta è che quei ministri, chiunque siano, dovranno piacere a Sergio Mattarella.

Identica filosofia guiderà la scelta della figura più centrale di tutte, il ministro dell’Economia. Giulio Tremonti scalpita per riprendere le redini ma in Europa il gradimento starebbe a zero. Serve invece un nome rassicurante non solo per competenza ma anche perché proveniente dal board della Bce come Fabio Panetta. Lui per la verità punta piuttosto alla successione di Ignazio Visco come governatore di Bankitalia ma non è detta l’ultima parola e comunque, anche in questo caso, più che la giostra dei nomi conta l’indirizzo, la ricerca della pace con Francoforte. Al punto che qualcuno sussurra addirittura che si potrebbe confermare Daniele Franco così come Roberto Cingolani alla Transizione energetica. Anche col governo uscente l’idea dettata sia da necessità che da virtù di lasciare a Mario Draghi la stesura della legge di bilancio per poi correggerla un po’ con gli emendamenti risponde sì alla necessità di varare in tempo la manovra ma anche a quella di evitare discontinuità brusche.

LE DICHIARAZIONI dei leader nel day after riflettono lo stesso afflato francescano. La grande vincitrice, Giorgia Meloni, sceglie il silenzio. Perché è una prova di serietà ma anche per dribblare il rischio di una parola fuori posto al momento sbagliato. Al suo posto si presentano i capigruppo Ciriani e Lollobrigida, col capo dell’organizzazione Donzelli, e pesano le parole. Conferma delle mire presidenzialiste sì, ma senza ringhiosità: «La Costituzione è bella ma ha anche 70 anni: si può migliorare». Mano tesa alla Lega: «Faremo presidenzialismo e autonomia. Quel che chiede la Lega è perfettamente in linea col programma del centrodestra».

DA SALVINI ci si aspettavano toni meno sereni. In effetti confessa di essere andato a dormire imbufalito. Però si è svegliato «caricato a molla». Si complimenta con «Giorgia», che «è stata brava». Attribuisce il salasso nelle urne all’esperienza Draghi ma assicura che lo rifarebbe. Sarà, però il passaggio suona come una frecciata rivolta ai governatori del nord che potrebbero insidiare la sua leadership: proprio loro che lo avevano spinto al fatal passo e che poi, nelle loro regioni, hanno portato all’incasso ben poco. La fronda però c’è e il primo momento della verità sarà il Consiglio federale di oggi. Ma Salvini è deciso a resistere: «Non mollo, resto segretario e non ho mai avuto tanta voglia di lavorare per ridisegnare la linea della Lega». Nessuna polemica con gli alleati, anzi. Però la Lega si aspetta ora il varo immediato delle misure sulle bollette e sull’autonomia, per dimostrare di essere in piedi.

BERLUSCONI HA TUTTI i motivi per cantare vittoria. Lo davano per morto. È vivo, vegeto convinto di aver stroncato la manovra centrista ai suoi danni, prodigo di complimenti per «Giorgia» e ringraziamenti per «Matteo». Ma anche deciso a chiedere «pari dignità» in termini di ministeri e non è affatto detto che abbia rinunciato al sogno di presiedere il Senato che lo cacciò.

LA NASCITA DEL GOVERNO è prevista per fine mese e tutti staranno molto attenti a evitare che qualche passaggio importante capiti il 28 del mese, centenario della marcia su Roma. Sarebbe imbarazzante.