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Meloni alla prova del Nord. Salvini rischia più di tutti

Meloni alla prova del Nord. Salvini rischia più di tuttiGiorgia Meloni e Matteo Salvini – LaPresse

La destra cerca la quadra L’ipotesi di una defenestrazione del leader da parte della Lega è remota. Quella di una sua perdita secca di peso contrattuale nella coalizione è concretissima

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 12 giugno 2022

Una tornata di elezioni amministrative così vicina alle politiche dovrebbe servire anche a fissare gli equilibri interni alle coalizioni. Per la destra in parte sarà così ma in realtà da capire resta poco e il quadro sembra già chiaro. Però le sorprese sono sempre possibili: la vera sorpresa sarebbe un successo di Giorgia Meloni inferiore alle attese. Ove il vantaggio di sorella Giorgia sul competitor Salvini fosse di stretta misura, il contraccolpo sarebbe di fortissimo impatto.

Se le previsioni dei sondaggisti saranno confermate resterà comunque da verificare un particolare tutt’altro che secondario. Per avere qualche chance di insediarsi a palazzo Chigi Giorgia Meloni deve sfondare al nord, impresa per il suo partito proibitiva. Il test di oggi dirà se di qui all’anno prossimo può farcela o se la strada è ancora tutta in salita.

SI PUÒ IN COMPENSO scommettere a colpo sicuro e che queste elezioni rafforzeranno i vincoli di coalizione, a differenza delle precedenti tornate amministrative. Questione di forza maggiore: con le politiche a un passo e senza una riforma proporzionalista l’alleanza è un obbligo, meglio adeguarsi col sorriso sulle labbra che allontanare gli elettori mettendo in piazza i panni sporchi, al secolo la competitività estrema tra Salvini e Meloni. I due lo hanno capito e nell’ultimo scorcio di campagna elettorale hanno fatto il possibile per sembrare molto più uniti di quanto non siano realmente.

Gli scontri nelle singole città incideranno soprattutto dove la destra si presenta divisa, dunque in 5 capoluoghi su 26. A Palermo, dove il problema non si pone, la vittoria di Roberto Lagalla sembra garantita. Non basterà a risolvere la contesa sulla ricandidatura del presidente uscente Musumeci nelle regionali dell’anno prossimo. Per Meloni è irrevocabile, gli alleati continuano a puntare i piedi. Ma è storia di domani.

Oggi la città principale che vede la destra divisa è Catanzaro: Lega e Fi sostengono l’ex Pd Valerio Donato, anche se la passione di Salvini è tiepida, tanto che ha completamente disertato la campagna elettorale. FdI candida invece la vicecapogruppo alla Camera Wanda Ferro, che gode di un appoggio tanto pesante quanto quello di Sergio Abramo, il sindaco uscente che da vent’anni fa il bello e il cattivo tempo nel capoluogo calabrese. I pronostici sono a favore di Donato, se però a sorpresa dovesse spuntarla la candidata tricolore, e a maggior ragione se poi riuscisse a conservare alla destra la città battendo il candidato Pd-5S Fiorita, il colpaccio sarebbe indiscutibile.

A VERONA LA GEOMETRIA della destra varia. Fi candida l’ex sindaco ed ex leghista Tosi, Matteo e Giorgia sono a braccetto dietro al sindaco uscente Sboarina. Nella sfida interna è in vantaggio lui ma rischia poi grosso nello scontro con l’ex calciatore Tommasi e vincere il duello interno per poi essere sconfitti al ballottaggio sarebbe quasi un boomerang. A Viterbo, seconda città del Lazio, si torna al quadro più consueto: Lega e Fi per Claudio Ubertini, FdI (con alcune aree forziste) per Laura Allegrini. Trattandosi di una piazza che vede il partito di Meloni fortissimo almeno nella competizione interna non dovrebbe esserci partita. Previsioni opposte a Parma, verdi e azzurri con il sindaco uscente Vignali, tricolori con Priamo Bocchi, decisamente arretrato ai blocchi di partenza.

Nel complesso, e sempre senza improbabili sorprese clamorose, le urne testimonieranno che FdI è sì primo partito della destra e forse del Paese, se la spunterà al fotofinish con il Pd, però non in condizioni di dettare legge, senza quella superiorità netta e quasi schiacciante che ha permesso a Berlusconi per vent’anni di signoreggiare.

L’OBBLIGO DI TROVARE la quadra sarà stringente per tutti. Con una incognita però determinante: il risultato della Lega, o più precisamente del suo capo. Salvini è il leader che rischia di più. L’esito, se paragonato alle vette raggiunte nei sondaggi nel momento di massima popolarità, sarà comunque catastrofico. Ma i sondaggi contano quel che contano e non è moltissimo.

Il vero rischio è un calo secco rispetto alle politiche di 5 anni fa. Il capo leghista, che comunque sarebbe colpito duro dal non raggiungimento del quorum nei referendum sulla giustizia, rischia l’affondamento se scenderà sotto il 15%. L’ipotesi di una sua defenestrazione nel Carroccio è in realtà remota. Quella di una sua perdita secca di peso contrattuale nella coalizione invece è concretissima.

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