Sedici fotografie per mezzo secolo di vita, impressioni sulla carta di una vita in esilio: è Il pozzo del destino, romanzo di Mehmed Uzun, tradotto da Francesco Marilungo ed edito dall’Istituto Kurdo (pp. 368, euro 30). Realizzato insieme all’Ismeo, il romanzo è un viaggio nella prima metà del Novecento curdo, attraverso la storia di uno dei massimi esponenti del movimento di liberazione e della cultura curda, Celadet Ali Bedirxan, principe, intellettuale, editore. Colui che, attraverso le visionarie ma sfortunate riviste Hawar e Roja Nu, tenterà la prima ufficializzazione di una lingua fino ad allora senza dizionario, idioma tramandato oralmente insieme alle epiche dei suoi eroi, a storie d’amore e geografie.

UZUN DIALOGA con Bedirxan lungo tutto il libro, regalandogli il romanzo che il principe non era mai riuscito a mettere su carta: alla narrazione del romanziere si intervalla la voce in prima persona di Celadet che lo corregge, lo approva, dà profondità a un racconto che segue due linee, quella temporale (dalla nascita nel 1893 alla morte nel 1951) e quella geografica, viaggio senza meta da Istanbul alla Germania, dall’Egitto a Beirut fino all’approdo damasceno, in costante fuga dalla repressione dell’aspirazione nazionale curda e dal proprio baratro interiore, l’incapacità di percorrere davvero la via verso casa.

Lo scrittore curdo Mehmed Uzun

«IL POZZO DEL DESTINO» è una grande saga familiare, in cui ogni epoca è definita da una fotografia, ed è la storia di un popolo, quello curdo, separato dai confini di quattro nazionalismi e preda di divisioni interne e apatie. In tale contesto di disperata paralisi, la lingua . lo studio, la catalogazione, l’ufficializzazione sulle pagine di una rivista – diviene il solo mezzo che Celadet e i suoi compagni letterati hanno per garantire la sopravvivenza alla propria gente.

Una fonte di identità che spezzi l’isolamento politico e li mostri all’esterno come entità reale, concreta. E con una propria memoria: il pozzo, in curdo bir (la stessa parola usata per indicare la memoria), accompagna il girovagare inquieto di Celadet Ali Bedirxan in ogni casa che prova a costruire lontano dalla propria terra. C’è un pozzo in ogni città attraversata, da quello che assiste allo spegnersi dolce e indolore dei genitori a quelli che, in Egitto e a Damasco, tentano invano di far sbocciare i colori e gli odori dei giardini curdi. Fino all’ultimo pozzo e all’ultima fotografia.