Cultura

Mehmed Uzun, un destino nel pozzo della cultura curda

Mehmed Uzun, un destino nel pozzo della cultura curdaL'installazione di Jala Wahid, "Newroz" 2019

Narrativa Il romanzo "Il pozzo del destino" di Mehmed Uzun (edito dall’Istituto Kurdo e realizzato insieme all’Ismeo) rappresenta un viaggio nella prima metà del Novecento curdo, attraverso la storia di uno dei massimi esponenti del movimento di liberazione e della cultura curda, Celadet Ali Bedirxan

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 8 novembre 2022

Sedici fotografie per mezzo secolo di vita, impressioni sulla carta di una vita in esilio: è Il pozzo del destino, romanzo di Mehmed Uzun, tradotto da Francesco Marilungo ed edito dall’Istituto Kurdo (pp. 368, euro 30). Realizzato insieme all’Ismeo, il romanzo è un viaggio nella prima metà del Novecento curdo, attraverso la storia di uno dei massimi esponenti del movimento di liberazione e della cultura curda, Celadet Ali Bedirxan, principe, intellettuale, editore. Colui che, attraverso le visionarie ma sfortunate riviste Hawar e Roja Nu, tenterà la prima ufficializzazione di una lingua fino ad allora senza dizionario, idioma tramandato oralmente insieme alle epiche dei suoi eroi, a storie d’amore e geografie.

UZUN DIALOGA con Bedirxan lungo tutto il libro, regalandogli il romanzo che il principe non era mai riuscito a mettere su carta: alla narrazione del romanziere si intervalla la voce in prima persona di Celadet che lo corregge, lo approva, dà profondità a un racconto che segue due linee, quella temporale (dalla nascita nel 1893 alla morte nel 1951) e quella geografica, viaggio senza meta da Istanbul alla Germania, dall’Egitto a Beirut fino all’approdo damasceno, in costante fuga dalla repressione dell’aspirazione nazionale curda e dal proprio baratro interiore, l’incapacità di percorrere davvero la via verso casa.

Lo scrittore curdo Mehmed Uzun

«IL POZZO DEL DESTINO» è una grande saga familiare, in cui ogni epoca è definita da una fotografia, ed è la storia di un popolo, quello curdo, separato dai confini di quattro nazionalismi e preda di divisioni interne e apatie. In tale contesto di disperata paralisi, la lingua . lo studio, la catalogazione, l’ufficializzazione sulle pagine di una rivista – diviene il solo mezzo che Celadet e i suoi compagni letterati hanno per garantire la sopravvivenza alla propria gente.

Una fonte di identità che spezzi l’isolamento politico e li mostri all’esterno come entità reale, concreta. E con una propria memoria: il pozzo, in curdo bir (la stessa parola usata per indicare la memoria), accompagna il girovagare inquieto di Celadet Ali Bedirxan in ogni casa che prova a costruire lontano dalla propria terra. C’è un pozzo in ogni città attraversata, da quello che assiste allo spegnersi dolce e indolore dei genitori a quelli che, in Egitto e a Damasco, tentano invano di far sbocciare i colori e gli odori dei giardini curdi. Fino all’ultimo pozzo e all’ultima fotografia.

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