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Stampa curda nel mirino dei droni turchi. Lavoravano per Chatr Media le ultime due vittime

Gülistan Tara e Hêro BahadînGülistan Tara e Hêro Bahadîn

Kurdistan iracheno L’auto su cui viaggiavano Gülistan Tara e Hêro Bahadîn colpita nel territorio controllato da Barzani, alleato di Erdogan. Kamal Hama Raza: «Ci attaccano perché con una nuova generazione di giornalisti indipendenti vogliamo far luce sulle ingiustizie perpetrate dallo Stato fascista della Turchia»

Pubblicato 27 giorni faEdizione del 11 settembre 2024

Il 23 agosto nel distretto Seyidsadiq di Sulaymaniyah, nella Regione del Kurdistan in Iraq, un drone ha colpito l’auto su cui viaggiavano Gülistan Tara e Hêro Bahadîn, uccidendole. Rêbîn Bekir che viaggiava con loro è rimasto ferito gravemente. Erano reporter del network curdo Chatr Media Agency e si stavano recando sulla scena di un precedente attacco aereo turco. Gülistan Tara, 40 anni, era giornalista dal 2000 mentre Hêro Bahadîn, 27 anni, lavorava nel network dal 2020.

«VENIAMO ATTACCATI perché promuoviamo una nuova generazione di giornalisti indipendenti – afferma il direttore di Chatr Media, Kamal Hama Raza – e liberi di pensare, siamo guidati dai principi dell’unità etnica, nazionale e linguistica tra tutti i popoli. La nostra missione è documentare e far luce sulle ingiustizie perpetrate dallo Stato fascista della Turchia, in particolare sull’occupazione e l’oppressione in corso del popolo curdo».

Il ministro della Difesa turco ha negato la responsabilità dell’attacco in una dichiarazione all’Agence France-Presse (Afp), cosa inusuale considerando che il servizio di intelligence nazionale Mit si è reso responsabile di una lunga scia di sangue, principalmente con l’uso di droni, dichiarando sempre di aver colpito affiliati del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk).

«Sostengono di non aver mai preso di mira civili o giornalisti, negando così di aver commesso crimini d’odio. In questo modo, le vittime innocenti di questi attacchi vengono disumanizzate e falsamente etichettate come terroristi a scopo di propaganda», aggiunge Kamal Hama Reza.

AD AVVALORARE indirettamente la tesi secondo cui dietro l’attacco ci sarebbe la Turchia c’è un comunicato diramato subito dopo l’attacco dalla Direzione generale antiterrorismo (Ctd) legata al Partito democratico del Kurdistan della famiglia Barzani, alleato di ferro della Turchia in Iraq, secondo cui nell’attacco sarebbero morti un comandante del Pkk e due affiliati.

«Venti minuti dopo l’attacco terroristico ai nostri due giornalisti, l’agenzia antiterrorismo del regime di Massoud Barzani ha diramato una comunicato sulle vittime che stavano ancora bruciando all’interno dell’auto. Senza averli identificati e senza conoscerne l’appartenenza politica, li ha etichettati come leader del Pkk» afferma il direttore di Chatr Media. E aggiunge: «Questo non fa altro che sottolineare la natura disumana del regime di Barzani e l’impegno profuso per portare avanti la propria agenda, senza tener conto del popolo curdo. Il regime di Barzani si è costantemente allineato con la Turchia, spinto dalla ricerca di ricchezza, potere e sopravvivenza della propria corruzione.»

ANCHE REPORTERS Sans Frontières (Rsf), che proprio il giorno prima dell’attacco aveva lanciato un allarme sull’aumento delle violenze contro i giornalisti nel Kurdistan iracheno, indica la Turchia come responsabile: «Con tre operatori dei media uccisi in soli due mesi, la regione autonoma del Kurdistan iracheno sta diventando una delle aree più pericolose al mondo per i giornalisti», si legge nel comunicato di Rsf. Che chiede inoltre alle autorità curde di «far luce su questo crimine avvenuto sul loro territorio e cui devono rispondere le autorità turche: la smentita del ministero della Difesa turco non basta. (…) Deve essere fatta giustizia per Gülistan Tara e Hêro Bahadîn».

L’attacco di venerdì infatti è l’ultimo di una serie di omicidi mirati contro giornalisti e attivisti in Kurdistan. L’ultimo risale all’8 Luglio, quando Murad Mirza Ibrahim, giornalista ezida di 27 anni, è stato ucciso da un drone in un attacco che ha ferito gravemente anche la reporter Medya Hasan Kemal di Çira TV e l’autista Xelef Xidir. Prima di lui, la giornalista e scrittrice Nagihan Akarsel era stata uccisa a colpi di pistola fuori casa sua, a Sulaymaniyah, nell’ottobre 2022.

La lista si allunga considerando gli attacchi nel nord della Siria, Come nel novembre 2022, quando il corrispondente dell’Anha Isam Abdullah è stato ucciso dai raid turchi su Dêrik o nel 2023, quando un veicolo del canale a guida femminile JinTv è stato colpito da un drone, provocando la morte dell’autista Necmeddîn Feysel Hec Sînan e il ferimento della corrispondente Delîla Egîd, a cui è stato amputato un braccio.

RISPETTO AI PRECEDENTI attacchi, la Turchia potrebbe aver deciso di negare la sua responsabilità in seguito all’insolita ondata di condanne a livello locale e internazionale. Oltre a diverse organizzazioni di giornalisti e della società civile come il Committee to Protect Journalists, spiccano tra le condanne quella del vice primo ministro del governo regionale del Kurdistan Qubad Talabani e quella del Partito per l’uguaglianza e la democrazia dei Popoli (Dem)m secondo cui l’attacco sarebbe parte di una più ampia campagna di repressione contro la stampa, nel tentativo di «coprire i crimini di guerra commessi nella regione».

In questo il governo regionale non ha nulla da invidiare alla Turchia, definita da Rsf «la prigione per giornalisti più grande del mondo». Ne è un esempio la vicenda di Silêman Ehmed, redattore della piattaforma RojNews, il cui arresto per presunti legami con il Pkk è stato confermato dalle forze di sicurezza solo diversi mesi dopo la sua scomparsa avvenuta mentre rientrava nella Regione del Kurdistan dalla Siria, dove si era recato al funerale del padre.

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