Il decreto sull’election day slitta. Il consiglio dei ministri avrebbe dovuto vararlo ieri pomeriggio: ha rinviato alla prossima settimana. Ufficialmente, informano le fonti di palazzo Chigi, per questioni di tempo: il vertice sull’Ilva, che ha portato al decreto per rafforzare la cassa integrazione nelle aziende commissariate, quello sul Pnrr e prima ancora il compleanno della premier, festeggiato con un giorno di ritardo dal partito a Montecitorio. In realtà la fitta agenda è stata provvidenziale: al momento infatti la maggioranza non ha idea di come risolvere le grane che si sono accumulate nelle candidature per le elezioni regionali in Sardegna e un po’ anche in Basilicata e soprattutto intorno al nodo del terzo mandato per i presidenti di regione.

Il testo che avrebbe dovuto essere varato ieri fissa l’election day per l’8 e il 9 giugno, sabato a partire dalle 14 e domenica dalle 7 alle 23: una novità dal momento che sinora le elezioni spalmate su due giorni erano sempre state convocate domenica e lunedì. Il problema è che il decreto dovrebbe anche eliminare il tetto dei due mandati per i sindaci nei comuni al di sotto dei 15mila abitanti, glissando invece sul bersaglio grosso, il terzo mandato per i governatori. L’ipotesi di inserire quella modifica già nel decreto appare remota ma affrontare il problema, data l’occasione, sarebbe stato inevitabile, tanto che era possibile anche un vertice informale a margine del cdm dei tre leader di maggioranza, con le candidature e il terzo mandato per menù. E forse qualcosa i tre leader, a porte chiuse, si sono detti davvero.

Il Fratello Fabio Rampelli, dopo la giravolta di Forza Italia prima contraria poi disponibile, apre a propria volta uno spiraglio: «Si può discutere anche del terzo mandato». Il problema è che a non volerne discutere è proprio la presidente del consiglio che non ha affatto rinunciato al progetto di conquistare il Veneto strappandolo alla Lega: un disegno destinato a fallire se, grazie all’eliminazione del tetto, l’imbattibile Luca Zaia potrà ricandidarsi. Il pollice verso di Giorgia Meloni sui governatori rende difficile sbloccare il caso della Sardegna, dove i giochi saranno pure fatti, la candidatura del sindaco di Cagliari Paolo Truzzu al posto del presidente uscente Christian Solinas sarà pure passata in giudicato, ma resta in sospeso il problemino di come “compensare” la Lega. La sola idea, peraltro remota, che il risarcimento passi per la Basilicata fa tremare le vene ai polsi del presidente uscente Vito Bardi, azzurro. Nell’incertezza evita, per ora, di convocare le elezioni.

Lo stato maggiore di FdI si rende conto di doversi inventare qualcosa per rabbonire un Matteo Salvini sull’orlo del disastro. Alle europee sarà grasso che cola se riuscirà a incamerare due europarlamentari su nove che ne vanta oggi e l’idea di piazzare il generalissimo Vannacci in tutte le circoscrizioni, con i succitati chiari di luna, fa imbestialire i tanti leghisti doc che sarebbero destinati a restare a bocca asciutta. Se si aggiungesse alla raffica di mazzate anche lo scippo del Veneto il “capitano” potrebbe trasformarsi nella classica scheggia impazzita. Ma Meloni al sogno di un Veneto tricolore proprio non sa rinunciare.