«Medici sentinelle»
Intervista Francesco Romizi, dell’Associazione italiana medici per l’ambiente (Isde): «C’è correlazione tra l’incremento della temperatura e le patologie»
Intervista Francesco Romizi, dell’Associazione italiana medici per l’ambiente (Isde): «C’è correlazione tra l’incremento della temperatura e le patologie»
Nel 1989 per opera di un gruppo di medici italiani – coscienti che per garantire la salute di ciascuno di noi occorre occuparsi anche della salute dell’ambiente in cui viviamo – nasceva l’Associazione medici per l’ambiente (www.isde.it). Gli attuali mille aderenti hanno come stella polare la lotta contro le fonti inquinanti e rendere preminente nella società un modello di sviluppo che abbia come priorità la salute e non i profitti privati. Una parte importante delle attività dell’Isde sono rivolte agli studi sulla ricaduta dei cambiamenti climatici sulla nostra salute. «Mitigare l’aumento della temperatura vuol dire salvare milioni di vite», spiega Francesco Romizi, responsabile relazioni esterne Isde Italia. «Gli effetti attesi sulla nostra salute per l’incremento delle temperature destano grandi preoccupazioni nella comunità scientifica e derivano non solo dalla ridotta disponibilità di cibo e acqua salubri, dall’incremento di vettori di malattie infettive legati alla tropicalizzazione del clima nei Paesi occidentali, ma anche da relazioni ben definite tra temperatura atmosferica, morbilità e mortalità e dall’insorgenza di patologie – principalmente cardiovascolari e respiratorie, ma anche del periodo perinatale, metaboliche e cronico-degenerative – legate agli inquinanti generati dagli stessi processi di combustione responsabili dei cambiamenti climatici».
Romizi, in questa vostra consapevolezza che non si può tutelare la salute se attorno a noi ci sono fonti di inquinamento, avete da poco costituito «I medici sentinella per l’ambiente». Di cosa si tratta?
In sostanza si tratta di coinvolgere i medici di medicina generale e i pediatri nelle attività di prevenzione delle malattie legate ai fattori ambientali. Segnali inequivocabili sull’importanza di questa necessità si sono visti, per esempio, durante la pandemia da Covid-19. Si ricordi che oltre l’80% delle richieste di assistenza sanitaria vengono erogate «solo» dai medici e dai pediatri. Questo significa che essi hanno a disposizione un patrimonio informativo estremamente importante per la conoscenza del loro territorio. Tali conoscenze sono essenziali anche per tematiche con impatti a livello generale e globale, come l’inquinamento atmosferico e la crisi climatica. E ancora più importate è la loro influenza sui comportamenti dei pazienti e sulle decisioni politiche a livello locale. Su queste basi nel 2022 è stato finanziato un progetto da parte della Regione Molise che coinvolge medici umani e veterinari e che affronta tematiche di estrema rilevanza e attualità come l’antibiotico resistenza.
Da tempo chiedete all’Unione europea di aggiornare gli standard sulla qualità dell’aria. A che punto siamo?
L’Oms a fine 2021 ha aggiornato le proprie linee guida che individuano i livelli di qualità dell’aria da raggiungere per proteggere la salute umana e che costituiscono uno strumento per valutare l’esposizione della popolazione a livelli di inquinanti potenzialmente dannosi per la salute. Faccio un esempio: diminuendo il livello di un particolare tipo di inquinante, il PM10, si potrebbe ridurre la mortalità nelle città inquinate del 15% all’anno. Lo scorso 26 ottobre è stata pubblicata la proposta della Commissione europea per una nuova direttiva sulla qualità dell’aria. La nuova direttiva contribuirà a ridurre significativamente i livelli di inquinanti atmosferici per il raggiungimento dell’obiettivo «inquinamento zero», che l’Unione europea ha fissato per il 2050. La proposta contiene nuovi standard di qualità dell’aria, maggiormente allineati alle suddette linee guida dell’Oms per i principali inquinanti. È indubbio che la proposta della Commissione sia apprezzabile, anche se non esaustiva. Sono, però, molto preoccupato dai governi nazionali che, in sede di Consiglio Europeo, potrebbero peggiorare la Direttiva. E il governo italiano, purtroppo, è tra quelli che maggiormente osteggiano le politiche green dell’Europa.
Nel vostro libro «Verso un cibo senza veleni» (Terra Nuova Edizioni) indicate gli alimenti del futuro, definiti cibi intelligenti, che sono buoni per noi, per l’ambiente e per l’agricoltore. Quali sono?
Il libro vuole essere un utile strumento per i cittadini e le cittadine per capire cosa ogni giorno portiamo sulle nostre tavole e come poter migliorare le nostre diete con un’attenzione particolare alla salute e quindi all’ambiente. Nello specifico sono stati illustrati i cosiddetti cibi intelligenti, ovvero il miglio, il sorgo e l’orzo. Il miglio e il sorgo, per esempio, sono colture particolarmente resistenti alla siccità e con un ciclo colturale breve, che possono essere coltivate anche in terreni molto poveri. Sono ricchi in antiossidanti, proteine e molti micronutrienti quali ferro, zinco e calcio. Essi forniscono agli agricoltori una strategia per la gestione dei rischi legati al cambiamento climatico: sono, infatti, colture più resilienti di altre che presentano cioè una maggiore adattabilità e un ridotto fabbisogno idrico.
Si è molto discusso dell’utilizzo dei termovalorizzatori. Siete a favore o contro?
I termovalorizzatori non sono una «alternativa evoluta» alle discariche. Non fanno sparire i rifiuti, ma, semplicemente, li trasformano in pericolose emissioni inquinanti, acque di processo contaminate e un’abbondante quantità di ceneri da combustione. Anche se gli impianti di nuova generazione hanno concentrazioni di emissioni molto inferiori a quelle dei più vecchi, trattano, però, un volume di rifiuti enormemente maggiore rispetto al passato – siamo passati da decine di migliaia a centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti all’anno – e le quantità assolute di inquinanti emessi dagli impianti di nuova generazione sono direttamente proporzionali alla quantità di rifiuti trattati. Inoltre, le modifiche tecnologiche di questi impianti hanno spostato la tipologia di particolato emesso verso le polveri ultrafini, le più pericolose in assoluto per la salute umana.
Voi sostenete che l’Italia è tra i Paesi europei con la più bassa percezione dei rischi ambientali e, nello specifico, con una bassa consapevolezza della correlazione tra fattori ambientali e salute umana. Come siete giunti a questa conclusione?
L’ultimo rapporto dell’Istat ci dice che la sensibilità rispetto ai temi ambientali è aumentata a partire dal 2019 in concomitanza con i movimenti di protesta e gli scioperi che hanno coinvolto tutto il mondo: più del 60% degli italiani si è dimostrato attento al tema. È un dato importante, ma che ci pone ancora, secondo Eurobarometro, tra gli ultimi Paesi europei per attenzione nei confronti delle problematiche ambientali. Probabilmente la situazione sociale del nostro Paese, con livelli di povertà tra i più alti d’Europa, porta molti cittadini e cittadine a pensare, prima di tutto, ad arrivare alla fine del mese. Senza rendersi conto, ahimè, che le problematiche ambiente-salute correlate colpiscono prima di tutto la popolazione più svantaggiata. Un esempio: coloro che hanno difficoltà economiche vivono in territori depressi, maggiormente sottoposti all’inquinamento atmosferico e alle malattie connesse. Hanno minor accesso ai servizi sanitari e minori capacità di spesa per le cure.
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