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Mario Fiorentini, le memorie

Mario Fiorentini,  le memorieQuesti i nomi della foto di gruppo di gappisti romani. Dall'alto e da sinistra: Alfredo Reichlin, Tullio Pietrocola, Giulio Cortini, Laura Garroni, Maria Teresa Regard, Franco Calamandrei, Valentino Gerratana, Duilio Grigioni, Marisa Musu. Sotto, accovacciati: Arminio Savioli, Francesco Curreli, Franco Albanese, Carla Capponi, Rosario Bentivegna, Carlo Salinari, Ernesto Borghesi, Raoul Falcioni. Seduti, davanti al gruppo: Fernando Vitagliano e Franco Ferri. Sdraiato a terra: Pasquale Balsamo.

Intervista Incontro con l'ultimo gappista romano che compie 99 anni il 7 novembre

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 4 novembre 2017

Via Rasella, gli attacchi al cinema Barberini, alla caserma Giulio Cesare e all’hotel Flora, il carcere di via Tasso, l’incursione a Regina Coeli, via Margutta, le Fosse Ardeatine. Mario Fiorentini è ancora lì, con la sua memoria, noncurante del tempo e delle primavere che si susseguono. Lo incontro a casa sua, a pochi metri da quella via Rasella che ha segnato indelebilmente la storia d’Italia. Non ci vediamo da un paio d’anni, Mario è seduto su una poltrona, nel suo studio zeppo di libri introvabili, di foto e di appunti; mi scruta con curiosità con i suoi occhi azzurri e mi domanda con la sua tipica cordialità: cosa vuoi sapere da me? In un attimo ho la sensazione di trovarmi al cospetto di un oracolo. “Lo sai che sono l’ultimo dei gappisti romani ancora in vita? Eravamo 48, ora sono rimasto solo io”.

Mario Fiorentini, classe 1918, la storia dell’ultimo secolo non l’ha vista solo scorrere, come quando a 4 anni fu testimone della marcia su Roma, lui è uno dei pochi che può affermare di averla attraversata, scritta e di custodirne un vivo ricordo. Sembra tenere sulle spalle il peso dell’intero ‘900. Come il marziano di Flaiano – suo caro amico – sembra un essere al di fuori del tempo che si aggira tra le strade di Roma. Chi lo conosce sa quanto sia difficile contenere le conversazioni negli argini di un solo tracciato narrativo poiché i ricordi, ancora lucidissimi, portano la memoria a compiere dei salti logici e temporali che solo chi possiede una discreta conoscenza dei fatti storici può seguire.

Fiorentini ama definirsi “l’uomo dalle tre vite”: l’intellettuale, il partigiano gappista e il matematico. Prima della resistenza armata al nazifascismo, di cui è stato un rappresentante di spicco, Fiorentini frequenta l’ambiente culturale e intellettuale romano degli anni ’30 e ’40. Via Margutta, Villa Strhol Fern ma anche le serate di cultura cinematografica a Palazzo Braschi (sede del Partito Fascista) e i littoriali della poesia.

“Frequentavo scrittori e poeti come Pratolini e Penna, pittori del calibro di Vedova, Turcato e Guttuso, registi come Visconti, Petri e Lizzani, che era un amico di famiglia. Discutevamo di attualità politica e sociale. Se culturalmente il franchismo e l’hitlerismo sono state due storie ignobili, la cultura italiana non è stata negletta dal fascismo”. Riesce, da autodidatta, a costruirsi una cultura umanistica invidiabile che lo porta a costituire con Plinio De Martiis “una compagnia di teatro che si proponeva di portare il teatro d’impegno in ambienti dove non era conosciuto. Solitamente si andava all’Argentina, al Valle, noi siamo andati in periferia. Una volta abbiamo fatto irruzione al sindacato fascista professionisti ed artisti che aveva sede in via Sicilia. Ho letto un proclama ‘a nome del teatro rivoluzionario’ perché volevamo portare l’innovazione sul palcoscenico, eravamo contrari al fatto che il teatro fosse il regno dei primi attori come Benassi, Zacconi, Musco o Ricci. Rivendico inoltre di aver messo in orbita come attore professionista Vittorio Gassman che al cinema Mazzini, con la nostra compagnia, fu protagonista di una meravigliosa interpretazione dell’Uomo dal fiore in bocca di Pirandello”.

Il progetto non decolla e viene allestito solo un altro spettacolo di Cechov al Teatro delle Arti.

“Gassman avrebbe dovuto saltare sopra un tavolo e cantare l’Internazionale in francese”. Della compagnia facevano parte tra gli altri: Luigi Squarzina, Adolfo Celi, Mario Landi, Lea Padovani, Vittorio Caprioli e Ave Ninchi. La coscienza antifascista di Fiorentini cresce progressivamente. “Il mio impegno antifascista resistenziale è iniziato nel ’38, quando, con la promulgazione delle leggi razziali, è scattata la macchina infernale delle persecuzioni anti-ebraiche. Mio padre era ebreo ma non di osservanza, era un libero pensatore come me. I miei genitori decidono di lasciare a me la scelta religiosa e non mi circoncidono né mi battezzano. Io, un po’ donchisciottesco, quando vengo a sapere delle persecuzioni contro gli ebrei mi reco dal rabbino capo di Roma Sacerdoti e chiedo di diventare ebreo. Il rabbino mi dice che dovevo essere per prima cosa circonciso e mi fa desistere, salvandomi dalle deportazioni. In seguito i miei anziani genitori vengono catturati dalle SS ma riescono a fuggire”.

Fiorentini entra in contatto con il circolo di Giustizia e Libertà, dal quale poi nascerà il Partito d’Azione, grazie all’amico Fernando Norma. L’Italia entra in guerra e gli eventi precipitano.

Nel 1942, durante un concerto, avviene l’evento che più di altri sconvolgerà la sua vita: l’incontro con Lucia Ottobrini. Da quel momento Mario e Lucia non si sono più lasciati “ci siamo tenuti sempre per mano. Ci chiamavano le volpi argentate perché insieme abbiamo quattro medaglie d’argento al valor militare”. Lucia è venuta a mancare il 26 settembre 2015. Nel ’43, prima dell’armistizio, insieme ad altri antifascisti costituisce il movimento degli Arditi del Popolo, ispirandosi agli Arditi che per primi si erano opposti in armi alle violenze fasciste negli anni ’20.

L’8 settembre inizia formalmente la seconda vita di Mario.

“Hanno scritto che i tedeschi, quando sono entrati a Roma, sono stati rumorosi. Non è vero. I carri armati sfilavano ed i tedeschi avanzavano in silenzio, sembrava uno spettacolo di teatro. Lucia era alsaziana, veniva dalla Francia e aveva visto l’entrata di Hitler. Eravamo in via Zucchelli, sgomenti, la prendo per mano e le dico: ‘Nous sommes dans un cul de lampe‘. Sinisgalli ha descritto magnificamente la nostra impotenza. Prendo Lucia e saliamo di corsa fino ad arrivare a Piazzale Flaminio. Capiamo che il nostro obiettivo è reperire armi. C’era una catastrofe, l’esercito si era sciolto. All’epoca si trovavano ancora le caserme con le armi dentro, abbiamo la fortuna di recuperare una cassa di bombe a serramanico tedesche (ride ndr), erano perfette, non erano come quelle italiane che facevano un po’ di botto e potevano ferire una persona, queste erano più potenti. Nascondiamo le armi nelle case, questo è stato il primo armamento”.

Alla fine di settembre il Partito Comunista costituisce i Gruppi di Azione Patriottica (GAP) operanti in ognuna delle otto zone in cui il movimento della Resistenza aveva diviso Roma. “Io ero il vice comandante dei GAP della IV zona- centro storico, Lucia agiva con me. A metà ottobre, dopo un incontro con Nicli, Salinari e Cortini, decidiamo di fondare i GAP centrali: elementi particolarmente arditi, che già si erano distinti in azione, si dovevano isolare, staccandosi dalle zone per compiere le azioni più rischiose e difficili. Io assumo la direzione della formazione Antonio Gramsci. Trombadori, che aveva il comando militare, dopo aver visto in azione me e Lucia capisce che i gappisti devono agire in coppie uomo-donna e così si costituiranno altre tre coppie: Calamandrei e Regard, Bentivegna e Capponi, Borghesi e Musu”.

Da quel momento iniziano a vivere in clandestinità, ad andare in giro sempre armati e ad assumere nomi di battaglia. Fiorentini assumerà quattro nomi diversi durante la Resistenza: Giovanni, Fringuello, Gandi e Dino.

“Siamo stati i primi in Italia ad organizzare la guerriglia urbana, inizialmente attaccavamo dall’alto lanciando bombe, istruiti dal prof. Gesmundo. Abbiamo colpito a Colle Oppio e al Muro Torto ad esempio. Il nostro obiettivo era impedire che i tedeschi si sentissero padroni di Roma, che spadroneggiassero. Ho avuto più contatti di altri con Bandiera Rossa perché non avevo una visione ristretta della Resistenza ma la ritenevo un fatto corale. A livello di gappismo, noi abbiamo rappresentato l’episodio storicamente più rilevante e anche più illuminante. La mia storia è completamente diversa da quella di Pesce. Lui vedeva la guerra in ottica rivoluzionaria, come uno scontro tra comunismo e fascismo, aveva una componente anticapitalista e di lotta di classe, per noi i nemici erano soprattutto i nazisti”.

I GAP centrali organizzano decine di azioni militari e Fiorentini rischia la vita più volte, come quando attacca il carcere di Regina Coeli in bicicletta. “Dovevamo far sentire la nostra voce a Pertini, Saragat e agli altri antifascisti in carcere. Il piano era lanciare, in corsa, uno spezzone di esplosivo davanti all’ingresso del carcere, durante il cambio della guardia. Decido di agire da solo per non far rischiare la vita anche agli altri. Ho sfidato la morte tante volte e la fortuna mi ha sempre assistito”. È il 28 dicembre 1943. Subito dopo l’attacco viene emanata un’ordinanza che vieta la circolazione delle biciclette ma “i romani aggirano il divieto aggiungendo una terza ruota, trasformando le bici in tricicli”.

Con lo sbarco degli Alleati ad Anzio i GAP centrali vengono sciolti e Mario e Lucia continuano ad operare nei quartieri popolari del Quadraro e del Quarticciolo. Ottobrini ripeteva spesso che la guerriglia urbana è stata “fame, freddo, umidità e sudiciume”.

Tra arresti e fucilazioni i GAP centrali si ricostituiscono nel febbraio ’44 e riprendono le azioni. “I gappisti romani hanno neutralizzato tre battaglioni. Il battaglione Onore e Combattimento, il Barbarico e il Bozen. Il primo lo abbiamo attaccato a via Tomacelli, con bombe da mortaio Brixia modificate per essere lanciate a mano. Su Il Messaggero c’era un articolo in cui si diceva che chi avesse consegnato gli autori dell’attacco avrebbe ricevuto una ricompensa di 500mila lire. Nessuno ci ha denunciato”.

Via Rasella. L’episodio e le sue conseguenze sono state raccontate in modo ineccepibile da Alessandro Portelli nel libro “L’ordine è già stato eseguito”. Fiorentini è il primo ad avvistare il battaglione Bozen sfilare per il centro di Roma e su indicazione di Salinari predispone un attacco in Via delle Quattro Fontane.

“Il mio piano era molto astuto e scaltro. Il comando decide però che l’attacco doveva avvenire in via Rasella. Ero contrariato perché quella era una zona che frequentavo, lì avevo avuto addirittura delle riunioni con elementi della sinistra cristiana e di Bandiera Rossa. C’era una cellula di operai comunisti. E poi non volevo che altri decidessero le nostre azioni. Non si è mai capito esattamente da dove fosse venuta la decisione di cambiare il modo di attacco, io sospetto ci fosse una talpa nel comando cittadino. Preparo un nuovo piano con delle cassette di esplosivo ma il partito voleva colpire il 23 marzo perché era l’anniversario della costituzione dei Fasci di combattimento. Gli spezzoni però non erano ancora pronti, a quel punto si è deciso di utilizzare il carretto con l’esplosivo”. L’attacco è eseguito con successo senza alcuna perdita tra i gappisti, il battaglione viene sbaragliato ed i nazisti rispondono immediatamente con l’eccidio delle Fosse Ardeatine. “Gli Alleati ci avevano inviato dei segnali, ci avevano detto ‘colpite duro’ perché siamo in gravi difficoltà sul fronte di Anzio. L’azione con il carretto ha avuto effetti più devastanti del piano ideato da me. Quando Kappler viene informato dal questore che l’azione era stata eseguita da ragazzi e ragazze, che avevano attaccato con delle bombe a mano e non con dei mortai, rimane sconvolto. Non pensava alle donne, non c’è una donna alle Fosse Ardeatine”. Quella di via Rasella è la più audace azione di guerriglia partigiana in Europa ed ha effetti sconvolgenti sull’opinione pubblica e sul comando tedesco. “Da quel momento le truppe tedesche non sfilano più all’interno della città e per questo potevano essere attaccate più facilmente sulle strade provinciali”. Chiedo a Mario perché non ci siano mai state rappresaglie prima di questo attacco. “Non volevano far sapere che c’era una resistenza armata. I tedeschi hanno spesso compiuto eccidi sulla gente inerme, non perché i partigiani attaccavano”.

Dopo una nuova ondata di repressione, dovuta anche al tradimento di Guglielmo Blasi, i GAP centrali si sciolgono di nuovo. Fiorentini prima opera in Sabina organizzando attacchi contro le autocolonne tedesche e poi inizia a collaborare con l’Office of Strategic Services – OSS americano, realizzando azioni di intelligence. Dopo la liberazione di Roma Fiorentini decide di continuare la lotta contro i nazifascisti nel Nord Italia, arruolandosi nell’OSS. Viene paracadutato tra Liguria ed Emilia. “Lucia confezionerà il suo vestito da sposa con la seta del mio paracadute”.

Fiorentini è un narratore instancabile e con entusiasmo mi racconta gli episodi più arditi delle sue missioni, l’evasione rocambolesca dal carcere di San Vittore, le amicizie con i compagni di lotta, il tentativo di liberare Mussolini dai partigiani per conto degli Alleati.

Il 7 novembre di quest’anno ricorre il centenario della rivoluzione russa e Mario, nato ad un anno esatto dallo scoppio dell’insurrezione bolscevica, ricorda i suoi compleanni durante la guerra: “Nel ’43 ci siamo ritrovati in una trattoria a Roma. Abbiamo cantato i cori partigiani francesi con Bentivegna, festeggiando il 7 novembre sovietico come nazione in guerra contro i tedeschi. È stata una nottata fantastica. Nel ’44 ero al San Gottardo, al comando della 52 brigata Garibaldi, quella che ha arrestato e fucilato Mussolini. Abbiamo fatto una grande festa e io ho cantato una canzone partigiana in russo. C’erano anche Gianna (Giuseppina Tuissi ndr) e Neri (Luigi Canali ndr), la coppia partigiana più infelice e sfortunata d’Italia, uccisi dai partigiani comunisti perché coinvolti negli avvenimenti di Dongo. Nel ’45 invece ho festeggiato a Roma. Il Partito Comunista ha organizzato una grande festa a via Gaeta dove sono stato invitato insieme a tutti i politici”.

Dopo la guerra Fiorentini si laurea, “nel ’71 senza l’appoggio dei baroni ottengo la cattedra di professore ordinario di Geometria superiore all’Università di Ferrara” e successivamente diventa un matematico di fama internazionale. Qui inizia la terza vita, ma questa è un’altra storia.

Prima di salutarmi, Mario apre il blocco dei suoi appunti per leggermi un passo, scritto prima della scomparsa di Lucia, che credo sintetizzi al meglio la sua umanità. “Mi chiedete se la felicità fa parte del mio presente. Nel rapporto con la compagna della mia vita posso parlare di felicità realizzata. 70 anni di matrimonio d’amore con Lucia Ottobrini, ci siamo tenuti per mano fino all’ultimo giorno. Se mi guardo intorno, se rifletto sulle guerre provocate dagli uomini, sull’avidità dei reggitori dei Paesi opulenti, sui disastri provocati da una politica ambientale suicida, su quanto è avvenuto in Asia e sopratutto in Africa negli ultimi decenni, allora mi sento pervaso da una grande e sfuggente infelicità. Non sono felice ma sono sereno perché mi sono realizzato come studioso molto al di sopra delle mie aspettative e anche perché Lucia ed io abbiamo sempre remato affinché il battello della nostra vita e degli altri avanzasse. Per quanto abbiamo potuto abbiamo sempre aiutato il nostro prossimo. Su questo punto Lucia ed io non abbiamo nulla da rimproverarci, tutto quello che abbiamo avuto lo abbiamo conquistato con l’atteggiamento di chi ritiene che nulla ci era dovuto. Lucia ed io ci avviciniamo al capolinea con grande serenità”.

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