La prima immagine che ricordo di Margarethe von Trotta è la sua corsa sorridente dalla galleria del Palazzo del Cinema di Venezia dove sedevano gli autori e gli attori, al palcoscenico, per ricevere il Leone d’Oro assegnato al suo film Anni di piombo nel lontano 1981.

Margarethe era allora una ragazza tedesca come se ne vedono molte d’estate sulle nostre spiagge. Il suo nome da noi ancora sconosciuto e il suo trionfo a Venezia non furono soltanto la scoperta di un’autrice sicura e potente, ma la voce che aveva il coraggio di affrontare un tema rischioso come il terrorismo che riguardava da vicino anche l’Italia e che, per la sua complessità e il rischio di compromissione, nessun cineasta italiano aveva affrontato fino a quel momento.

Per trattare questo spinoso argomento, invece di una prospettiva corale, l’autrice aveva scelto una dimensione molto ravvicinata, che si ispirava alle vicende del gruppo rivoluzionario tedesco Baader Meinhof e che l’invenzione del soggetto, in cui due sorelle incarnavano le due anime della sinistra, quella rivoluzionaria e quella più moderata, rendeva in qualche modo lontano e insieme più vicino il dissidio interno alla sinistra, molto simile in Germania come in Italia.

La profondità di questa intuizione ha caratterizzato da quel momento in poi un po’ tutti i numerosi film di Margarethe von Trotta, in cui a volte i versi di certi poeti hanno espresso ciò che né le immagini né le parole riuscivano a significare. Per citare un solo caso, la poesia di Yeats che il religioso, attratto dalla protagonista le lascia in un libro, come ricordo e velata dichiarazione d’amore.

Margarethe von Trotta trascorse un’infanzia e una giovinezza nelle ristrettezze del dopoguerra. Ebbe però una madre molto colta che, pur non mettendo a frutto in un qualsiasi lavoro le sue capacità intellettuali, iniziò sua figlia alle lingue e alla letteratura, che saranno il suo originale e prezioso patrimonio di attrice, di sceneggiatrice e di regista.

L’ultimo film, Evento Speciale al Bi&st International Film e TVdi Bari, in proiezione stasera, porta alla luce il gusto per la poesia e la scrittura della regista con la biografia della poetessa austriaca Ingeborg Bachmann, donna enigmatica e fragile, attratta come molti nord europei dalla luce e dal sole, e quindi dall’Africa e dall’Italia. Ingeborg, pur essendo vissuta all’alba del femminismo, è una donna libera, che in qualche modo anticipa nelle sue scelte molte caratteristiche delle donne contemporanee, non ultima la sua disponibilità agli incontri con uomini diversi, e la sua irresistibile ricerca di emozioni.

Le immagini del deserto africano, dove la scrittrice si reca con un amico/amante, fanno da leit-motiv al racconto di una vita sorprendente, che si svolge tra i paesi europei con una particolare predilezione per Roma, dove Ingeborg finirà per trascorrere l’ultima parte della sua vita in un appartamento di via Giulia. Il film non mette in scena la sua morte per l’incendio accidentale prodotto da una sigaretta, ma in molte sequenze il personaggio fuma compulsivamente come per trovare un appoggio alla sua insicurezza, da cui non si libera mai malgrado la sua posizione di intellettuale affermata a livello internazionale. Sembra che la regista, assieme alla duttile attrice Vichy Krieps, scelta come protagonista, voglia scendere nell’intimo disagio del personaggio attraverso questi minimi dettagli e una credibile levità che ci fanno sentire molto vicina una donna che appartiene ad un’altra generazione.

Infine, nell’entusiasmo per l’Italia e per Roma sentiamo anche l’attrazione per questa città dove la regista ha vissuto anni felici. Un film terso ed elegante che non esclude l’attualità, che non assomiglia oggi a nessun altro film e che speriamo venga distribuito anche da noi.

* Ester Carla de Miro d’Ajeta ha pubblicato il libro «Margarethe von Trotta l’identità divisa con la videocassetta «Il respiro dello sguardo») nel 1999 da Le Mani-Microart’S nella collana Cinema.