Il ministro della salute Orazio Schillaci a fine luglio aveva portato la sua lista della spesa al ministero dell’economia, con la richiesta di 4 miliardi di euro in più per la sanità pubblica nella prossima legge di bilancio. La risposta è arrivata dal palco del Meeting ciellino di Rimini: Giorgetti ha chiarito che il margine per investimenti non c’è. Ma per un nuovo favore alle aziende farmaceutiche non è detta l’ultima parola.

IL GOVERNO, HA FATTO CAPIRE il ministro dell’economia, è alla caccia di una ventina di miliardi da reperire con ulteriori tagli alle voci più importanti del bilancio pubblico. Schillaci al contrario chiede risorse in più. Il ministro vorrebbe garantire anche per il 2024 il bonus di 200 milioni a chi lavora in pronto soccorso e possibilmente estenderlo ad altre categorie di medici. C’è poi il rinnovo del contratto collettivo dei sanitari, che chiede stanziamenti. E infine l’inflazione: secondo i calcoli, 15 dei 130 miliardi del Fondo sanitario nazionale 2023 – il budget complessivo che garantisce l’operatività del Ssn – sono stati mangiati dall’aumento dei prezzi (soprattutto energetici), trasformando il piccolo incremento nominale del fondo in un taglio di fatto che ora andrebbe compensato. Con queste premesse, infatti, sarà difficile rimpiazzare i medici che vanno in pensione con nuove assunzioni o incentivare quelli attivi a incrementare gli orari di lavoro per recuperare le liste d’attesa. O più semplicemente a non trasferire armi e bagagli nella sanità privata, dove ogni buco aperto nel Servizio sanitario nazionale si trasforma in un’opportunità di guadagno.

Tuttavia, tra le richieste del ministro Schillaci, e soprattutto dei suoi sottosegretari, ce n’è una che rischia di essere accontentata dal Mef, in tutto o in parte, e riguarda il cosiddetto payback sanitario. Ma in questo caso non sarebbe una buona notizia per la sanità pubblica.

IL PAYBACK È UN meccanismo poco conosciuto che impone alle imprese fornitrici del Ssn di partecipare al ripiano della spesa per farmaci e dispositivi medici. Ogni anno, infatti, lo Stato fissa un tetto alla spesa delle Regioni per le forniture in questi due settori. Se la soglia viene superata, e succede regolarmente, il ripiano della spesa viene diviso a metà tra lo stato e le aziende. Il meccanismo incentiva chi fornisce farmaci e dispositivi medici alla sanità pubblica a tenere bassi i prezzi, invece di approfittare di brevetti e altri meccanismi anti-concorrenziali per alzarli a piacimento. Non sorprende che alle aziende il payback non piaccia. «Oggi l’abolizione del payback è la priorità numero uno per i lobbisti delle case farmaceutiche» confida al manifesto un anonimo consulente di molte di loro.

Per il 2022, ad esempio, lo sforamento della spesa farmaceutica costa alle aziende 1,3 miliardi di euro, da ripartire tra le aziende in funzione delle loro quote di mercato. Più complicato, al limite della telenovela, il destino del cosiddetto «payback dispositivi medici». Le aziende devono ancora pagare la quota relativa al triennio 2015-2017 (per non parlare degli anni successivi), dopo un infinita serie di ricorsi, contenziosi e proroghe. In totale, secondo la Federazione italiana fornitori ospedalieri, si tratta di 3,6 miliardi. Basterebbero per accontentare Schillaci.

IL GOVERNO MELONI è stato magnanimo con le aziende, concedendo tre rinvii al pagamento (con un forte sconto) della quota dovuta per il primo triennio. L’ultimo ha spostato da luglio a ottobre la scadenza del pagamento, riducendola alla metà. «Apprezziamo molto che il governo abbia inserito nel decreto cosiddetto emergenza caldo il rinvio del versamento del payback» aveva detto il presidente di Confindustria dispositivi medici Massimiliano Boggetti all’approvazione del decreto. Ma non si era accontentato: «Adesso dobbiamo lavorare insieme per trovare soluzioni di governance del settore che superino questa norma ingiusta», cioè per abolire la norma una volta per tutte. Con lui preme anche Marcello Cattani, presidente di Farmindustria. A luglio, di fronte all’assemblea pubblica annuale, ha spiegato che l’attrattività dell’Italia è «messa a forte rischio da livelli ormai insostenibili di payback».

UNA PARTE del governo è in amichevole ascolto. «Il payback va rivisto» concorda da tempo con le aziende il potente sottosegretario alla salute Marcello Gemmato (Fdi), amico personale di Giorgia Meloni e finora braccio «politico» del governo in materia sanitaria. La sottosegretaria all’economia Lucia Albano ha convocato un tavolo al ministero dell’economia con i rappresentanti di categoria «per individuare possibili soluzioni strutturali». Rimane da convincere Giorgetti. Firmando l’ultima legge di bilancio, aveva spiegato che senza il contributo delle aziende i livelli essenziali di assistenza sono a rischio. Poi però ha accettato di rinunciare a metà del payback e di rinviare il pagamento. La porta per le aziende non è ancora chiusa.