Madia contro Orfini. Ma il Pd lo difende
Democrack La minoranza attacca il segretario: «Mai più fiducia a prescindere. Svolta sociale e modifiche all’Italicum»
Democrack La minoranza attacca il segretario: «Mai più fiducia a prescindere. Svolta sociale e modifiche all’Italicum»
Se non è il caos totale poco ci manca. Nel Pd del post voto amministrativo grande è il disordine sotto il cielo, e la situazione è tutt’altro che eccellente. Certo, sul quartiere generale si spara. Ma gli spari arrivano da ogni direzione, anche dallo stesso quartier generale. Dalle colonne di Repubblica la ministra Marianna Madia chiede le dimissioni del commissario del Pd romano Matteo Orfini: «Il Pd dev’essere ’stappato’. Se il tappo è Orfini, allora si dimetta da commissario». La ministra definisce il collega «un ostacolo al parlamento», «In città c’è una classe dirigente giovane, agisca. Ma senza aspettare che qualche capocorrrente la candidi». La richiesta di dimissioni di Orfini era circolata già negli scorsi giorni nella minoranza Pd (il primo ad avanzarla era stato il bersaniano Davide Zoggia). Ma fin qui nessuno l’aveva presa sul serio: il congresso del Pd romano si terrà entro ottobre come ha annunciato lo stesso Orfini, e non sembra tanto razionale nominare oggi un nuovo commissario, o addirittura inventarsi un inedito ’direttorio’ per gestire una federazione nel caos e scarsa a iscrizioni – intorno ai 5mila- e organizzare il congresso in quattro mesi di cui due estivi.
Ma il risultato disastroso del Pd nella capitale ha scoperchiato il vaso di Pandora del partito romano, fin qui faticosamente tenuti a freno. Madia non è nuova a accuse contro il Pd romano. Nel 2013 l’aveva definito «composto da vere e proprie piccole associazioni a delinquere sul territorio». Tutti delinquenti, tranne quelli che generosamente l’avevano votata alle parlamentarie di qualche mese prima?
È Lorenzo Guerini a consigliarle «più sobrietà». Orfini «va solo ringraziato», dice il vice di Renzi, perché « si è assunto la responsabilità di commissario di Roma dopo Mafia Capitale e lo ha fatto con grande impegno»-
Ma le parole di Madia danno il la allo scambio di accuse fra minoranza bersaniana e giovani turchi, compagni coltelli dopo essere stati entrambi sostenitori di Cuperlo allo scorso congresso. Il senatore Miguel Gotor attacca: «Le dimissioni non si chiedono ma si danno per senso di responsabilità». Replica Francesco Verducci: «Gotor parla di senso di responsabilità? Lui che passa il suo tempo a spargere veleno sul Pd che manco Brunetta e Di Battista messi insieme?». Non solo Orfini, «tutti debbono fare un passo indietro», intima l’ex segretario di Roma Marco Miccoli, che con il commissario non è mai stato tenero, anzi spesso lo ha accusato di correntismo. «Chi pensa di risolverla con un accordicchio spartitorio non ha capito niente del messaggio del voto».
Ma alla fine la polemica si stempera. Persino all’assemblea della minoranza bersaniana che nel pomeriggio di riunisce al Nazareno. Presenti Bersani e Cuperlo, presente anche Vasco Errani che per la prima volta dopo l’assoluzione prende la parola fra gli applausi della sala strapiena (in molti restano fuori e seguono l’appuntamento in streaming).
Lo sbandamento del Pd è forte e toccherà a Renzi domani dare un verso alla crisi. A lui spetta anche l’ultima parola sul caso Roma: del resto non era un regalo quello aveva fatto a Orfini scaricandogli sulle spalle il caso Marino e il caso Mafia Capitale, un partito locale piegato dalle compromissioni nel dicembre 2014 subito dopo gli arresti.
Ieri anche Gianni Cuperlo ha tenuto a smarcarsi dal coretto della richiesta di dimissioni. «Di fronte al risultato dobbiamo fare una riflessione molto seria e il commissario deve essere parte attiva». Cuperlo invece si è unito a Roberto Speranza nell’impietosa analisi del voto e del tonfo del Pd, e nella richiesta di un «cambio di rotta». «In questi mesi abbiamo spesso votato cose che non ci convincevano come l’abolizione dell’Imu anche ai miliardari. Ora, diciamo basta. Non siamo più disponibili», ha scandito il giovane ex presidente dei deputati. «Sulle questioni sociali si deve invertire la rotta e su questi temi non c’è più voto di fiducia che tenga».
Anche sul referendum la minoranza chiede un ripensamento. Ma alla vigilia della direzione i toni sono rimasti bassi e alla fine non è arrivata nessuna ’minaccia’ di votare no al referendum da «non trasformare in uno scontro di civiltà tra bene e male».
La minoranza Pd prova a trattare, punta a una modifica dell’Italicum. Così Speranza: «C’è tempo per ragionare a partire da combinato disposto tra riforma e Italicum, su cui la nostra posizione è nota. Il Pd ha del tempo e non deve sprecarlo». Posizione che arriva anche da altre aree del partito (ieri l’ha ripetuta Emanuele Fiano, area Franceschini). E, con sempre più insistenza, anche dai centristi fuori dal Pd. Per esempio da un esperto navigatore come Casini che ieri al Corriere della sera ha spiegato: «Non vedo la necessità di fare il referendum a ottobre. E non capisco l’intangibilità di una legge elettorale che può benissimo prevedere la possibilità di una coalizione. È una cosa condivisa e metterebbe al riparo Renzi dalle critiche di voler fare tutto da solo». Critiche che però non preoccupano il premier, per dirla con eufemismo.
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