Internazionale

L’Unrwa via da Khan Yunis. Bibi: «Va chiusa»

Camion umanitari al valico di Kerem Shalom, lo scorso dicembre foto Ap/Abed Rahim KhatibCamion umanitari al valico di Kerem Shalom, lo scorso dicembre – Ap/Abed Rahim Khatib

Israele/Palestina Appello dell’Onu al mondo: ridate i fondi all’agenzia per i rifugiati. Il leader di Hamas Haniyeh vola al Cairo per discutere la tregua. Voci di accordo: sei settimane di tregua, ostaggi liberi e riposizionamento delle truppe israeliane. A Beit Lahiya scoperti 30 corpi legati e bendati, dentro sacchi neri: «Giustiziati»

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 1 febbraio 2024

«Stavamo pulendo, abbiamo visto una pila di macerie nel cortile della scuola. Siamo rimasti scioccati quando abbiamo scoperto che c’erano decine di corpi sepolti sotto. Abbiamo aperto i sacchi neri di plastica, abbiamo visto i corpi, già decomposti. Erano bendati, avevano mani e piedi legati».

Un testimone racconta ad al Jazeera il ritrovamento di almeno trenta cadaveri nella scuola elementare Khalifa bin Zayed, a Beit Lahiya, nel nord di Gaza. Dei video mostrano alcune delle buste con appese targhette con numeri e lettere ebraiche, semicoperte da sabbia e macerie, e un gruppo di palestinesi ripulirle dalla sporcizia, aprirle e dire agli altri di che colori sono i vestiti, quasi a sperare di poterli identificare. «Possa avere Allah misericordia di loro», dice un altro uomo.

LA SCUOLA aveva ospitato migliaia di sfollati fino a inizio dicembre quando le forze israeliane l’avevano assediata e colpita, costringendo chi vi aveva trovato rifugio a fuggire a sud, tassello dell’enorme sfollamento che ha spinto la quasi totalità della popolazione di Gaza a scappare dalle città settentrionali. Difficile dire di chi si tratti, i corpi sono in avanzato stato di decomposizione. Sembrerebbero vittima di esecuzione, colpiti da arma da fuoco a distanza ravvicinata.

Il ministero degli esteri dell’Autorità nazionale palestinese ha chiesto un’inchiesta internazionale che verifichi le responsabilità: «La scoperta di questa fossa comune riflette la tragedia che i civili palestinesi stanno vivendo, i massacri e le esecuzioni dei prigionieri sono una violazione grave di tutte le leggi internazionali».

Israele per ora non commenta. La denuncia palestinese, che segue ad altre accuse di esecuzioni di cui a disposizione ci sono al momento video, foto e testimonianze orali (soprattutto nel nord di Gaza, dove l’esercito è entrato in pianta stabile), giunge mentre a tenere banco è ancora l’Unrwa, l’agenzia Onu dedicata ai rifugiati palestinesi.

Ieri sera l’agenzia israeliana Ynet riportava l’appello del premier Netanyahu a diplomatici in visita a Gerusalemme l’Unrwa va cancellata, «dobbiamo rimpiazzarla con le altre agenzie Onu». Un appello che arrivava mentre lo staff di Unrwa lasciava Khan Yunis, costretto dai bombardamenti incessanti.

Poche ore prima in una lettera le altre agenzie delle Nazioni unite facevano appello ai tredici paesi occidentali che hanno tagliato i finanziamenti all’Unrwa dopo le accuse di partecipazione agli attacchi del 7 ottobre mosse da Israele a 12 dei suoi 30mila dipendenti nella Striscia, accuse basate su audio e registrazioni telefoniche.

«Ogni impiegato dell’Onu coinvolto in atti di terrorismo sarà chiamato a risponderne – hanno scritto i direttori, tra gli altri, di Ocha, Wfp, Oms, Ohchr, Unicef – Tuttavia non dobbiamo impedire a un’intera organizzazione di adempiere al suo mandato di servire persone in condizioni di disperato bisogno». Perché, aggiungono, «collasserebbe l’intero sistema umanitario di Gaza, con conseguenze sui Territori palestinesi occupati e la regione».

UNA POSIZIONE che coincide con quella del sempre più “vocale” Josep Borrell, rappresentante Ue agli affari esteri: «Sebbene un’inchiesta sia necessaria, non dobbiamo permettere che le accuse annebbino il lavoro indispensabile e grandioso dell’Unrwa», ha scritto su X.

Lo ha ribadito ieri Martin Griffiths, capo di Ocha, al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, riunito su richiesta dell’Algeria alla luce delle misure provvisorie ordinate a Israele dalla Corte internazionale di Giustizia: gli aiuti a Gaza sono ampiamente inadeguati, Israele ne impedisce l’ingresso per ragioni inconsistenti. Agli Stati uniti non basta, la loro ambasciatrice all’Onu Linda Thomas-Greenfield ha detto che l’Aja non ha parlato di cessate il fuoco e tutto può andare avanti così com’è perché «le misure della Corte hanno confermato il piano d’azione che abbiamo messo in piedi».

Nessun passo indietro ufficiale, perché poi dietro le quinte la Casa bianca spinge – con Egitto e Qatar – per un accordo. Nuovi dettagli sono emersi ieri dalle colonne del Washington Post: sei settimane di tregua in cambio del rilascio degli ostaggi israeliani ancora a Gaza, 136 (di cui 27 sarebbero stati uccisi); tre prigionieri palestinesi da liberare per ogni ostaggio; un riposizionamento delle truppe israeliane lontano dalle zone più densamente popolate della Striscia; e l’ingresso significativo di aiuti, 200-300 camion al giorno.

Ieri, secondo Reuters, il leader di Hamas Ismail Haniyeh era diretto al Cairo per discutere la proposta, segno – dicono fonti interne – di un interessamento concreto ma anche di una possibile frattura tra l’ala gazawi meno intenzionata a dialogare e la leadership all’estero. La speranza, dicono i negoziatori in forma anonima al Wp, è che la tregua si trasformi in cessate il fuoco permanente.

RESTANO delle distanze. In primis, quali palestinesi verrebbero rilasciati: Hamas vuole prigionieri di lungo periodo, e non – come accaduto a novembre – giovanissimi appena arrestati e mai accusati di un crimine. E ancora, il riposizionamento delle truppe israeliane: se Hamas ne vuole il completo ritiro, ieri il premier Netanyahu ha detto di nuovo che non intende «far uscire l’esercito dalla Striscia».

Parole dettate sicuramente dalle pressioni in seno al governo ma anche dal futuro che immagina per l’enclave. Qualche dettaglio è emerso ieri su due quotidiani israeliani, il Jerusalem Post e Maariv, per il day after: un regime militare israeliano per un tempo non definito e poi la consegna di Gaza (tutta o solo il centro-sud?) a una Autorità palestinese riformata. Senza Hamas e senza Fatah, ma gestita da una forza regionale araba.

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