L’orecchio del sovrano Trump e la violenza di massa negli Stati Uniti
Un mass shooting particolare Chi sta sul trono attira lo sguardo di tutti e perciò diventa anche bersaglio: non si passa alla storia sparando a una scuola piena di bambini, ma sparando a un monarca sì
A Butler, Pennsylvania, Thomas Matthew Crooks ha ucciso una persona e ferito altre tre, fra cui l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump. I media lo descrivono come il solito frustrato ed emarginato, più o meno di destra, appassionato di armi; ma di lui, di che cosa voleva fare e perché, non sapremo mai abbastanza: come sempre, la rapidità con cui l’attentatore viene “abbattuto” chiude il caso prima che si possa aprirlo.
Però possiamo provare a ragionare sul significato del suo gesto
Il mondo intero si preoccupa del proiettile che ha sfiorato l’orecchio di Trump, e tratta quelli che hanno colpito il povero Corey Comperatore e ferito altre due persone come meri effetti collaterali. Ma il fatto che abbia colpito anche bersagli a caso dimostra che Matthew Crooks ha sparato non solo a Donald Trump ma anche su tutta la folla.
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Un ragazzo qualunque, l’attentatore aveva 20 anniTecnicamente, con un morto e tre feriti, questo attentato di Butler rientra nel catalogo dei mass shootings (sparatorie con almeno quattro vittime) che dall’inizio dell’anno ha fatto 390 morti e 1216 feriti in 302 “episodi”.
Matthew Crooks – bianco, maschio, giovane – rientra allora nella dinastia di Dylan Roof, il massacratore della chiesa afroamericana di Charleston, South Carolina, di Omar Maheen che ha ammazzato 43 persone in un locale gay a Orlando, Florida, Jason Aldean, che fece 59 morti e 500 feriti in un concerto country a Las Vegas: la strage di massa, tentata o compiuta, come culmine di una rabbia repressa e senza nome.
Il dato diverso però è che una delle vittime (la più leggera e la più conclamata) è un ex presidente e candidato presidenziale. Più che in ogni altro paese, negli Stati Uniti i presidenti sono stati oggetto di attentati: il catalogo include le uccisioni di Abraham Lincoln (1865), James Garfield (1881), William McKinley (1901), John Kennedy (1963), e gli attentati ai presidenti Andrew Jackson (1935), Theodore Roosevelt (1912), Franklin D. Roosevelt (1933), a Harry S. Truman (1950), Richard Nixon (1972), Gerald Ford (due volte nel 1975), Ronald Reagan (1981), fino a un futile tentativo contro Barack Obama (2011). e ai candidati presidenziali – Huey Long (1935), Robert Kennedy (1968), George Wallace (1972).
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Quella lunga striscia di sangue che porta alla Casa biancaQuesto è dovuto almeno in parte alla figura istituzionale e simbolica del Presidente degli Stati Uniti. Fin da quando, con un atto di audacia politica straordinaria, l’America abolisce la monarchia e si proclama Repubblica, i “padri fondatori” sentono il bisogno di garantire una figura di autorità che rappresenti il centro (il “capo”, “il cuore”) dello stato e prevenga il disordine che ancora accompagnava l’idea di “repubblica”.
In Rip Van Winkle (1809), Washington Irving racconta che nell’osteria del villaggio il ritratto di Re Giorgio è sostituito da quello di George Washington. Anche nell’immaginario, il Presidente prende il posto del Re: da un lato “rappresenta” politicamente il paese, dall’altro incarna la sacralità del corpo mistico della nazione.
Pensiamo all’aura da Camelot e Artù che circondava la presidenza Kennedy, evocata da Bob Dylan in Murder Most Foul; ma anche alla scoperta allusione trumpiana di Bruce Springsteen in Rainmaker: «Il buffone si è seduto sul trono».
Chi sta sul trono attira lo sguardo di tutti e perciò diventa anche bersaglio: non si passa alla storia sparando a una scuola piena di bambini, ma sparando a un sovrano sì.
Recentemente la Corte Suprema ha persino sancito che il Presidente non è imputabile per atti ufficiali commessi nell’esercizio delle sue funzioni: un capo di stato democraticamente eletto si avvicina così alla figura di un sovrano al di sopra della legge. Nei regimi costituzionali il re «regna ma non governa»; come lo immagina Trump e come lo delinea la Corte Suprema oggi, il Presidente degli Stati Uniti si avvicina a un sovrano che regna e governa, come in certe visioni presidenzialistiche nostrane.
Giustamente, Corrado Augias accosta l’orecchio di Trump al sedicente «unto del Signore» Silvio Berlusconi ferito da una statuetta a Milano. Si leggeva allora sul sito di Rai News: «Il Presidente del Consiglio mostra il viso insanguinato mentre cresce la rabbia dei suoi sostenitori» – proprio come Trump adesso.
Il martirio esibito del corpo sacro del re come ricomposizione della nazione: alle spalle di entrambi sta l’iconografia del volto insanguinato di Cristo e Trump dice che è stato Dio in persona a salvarlo.
Il gesto di Thomas Matthew Crooks, allora, è il momento illuminante in cui due forme distinte ma non separate di violenza politica – l’assassinio di massa e l’assassinio mirato al «cuore dello stato» (da noi potremmo: dire la strage di Bologna e Aldo Moro) – si sovrappongono e ci lasciano intravedere il loro sostrato comune.
Modalità diverse, soggetti diversi, ma l’aggressione al “corpo sociale” è la stessa: sparare a tutti o sparare a chi rappresenta tutti. Le forme cambiano, ma la violenza è una.
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