Era già andata male al centrodestra due settimane fa, quando il «campo largo» aveva strappato Lodi alla Lega e annientato a Como il candidato di Fratelli d’Italia sostenuto dalla coalizione, ma persino escluso dal ballottaggio. Anche dopo il secondo turno, in Lombardia come nel resto d’Italia, Salvini, Berlusconi e Meloni si leccano le ferite: la destra perde Monza, che va al dem Paolo Pilotto (vince con il 51,21%), confermando una tradizione tutta monzese che vuole che il sindaco uscente non venga mai riconfermato. È stato così anche per Dario Allevi (48,79% dei voti), nonostante le benedizioni di giovedì scorso del Cavaliere che aveva lasciato il semi esilio di Arcore proprio per concludere nel capoluogo brianzolo la campagna elettorale. «Saremmo dei coglioni se non votassimo Allevi», aveva detto chiudendo il comizio.

A Como perde pure il centrosinistra, con la dem Barbara Minghetti (favorita al primo turno) che si ferma al 44,6%. Il civico Alessandro Rapinese sbaraglia la concorrenza e vince con oltre il 55%. Magra consolazione per la destra a Sesto San Giovanni, dove viene riconfermato l’uscente leghista Roberto Di Stefano (52,11% dei consensi). Si ferma al 47,89 Michele Foggetta, sostenuto dal centrosinistra e dal Movimento 5 Stelle. «Sesto non è più la Stalingrado d’Italia», sentenzia Di Stefano a risultati confermati. Ora lo aspetta la querelle «Stadio». Lontano dalla propaganda elettorale, dovrà fare davvero i conti con la contrarietà dei sestesi alla costruzione dell’impianto e le esigenze dei club.

Il bilancio del secondo turno, comunque, pesa a favore del centrosinistra: nonostante su 13 comuni lombardi al ballottaggio 5 siano andati alla destra, 4 alla sinistra e 4 alle civiche, lo smacco più grande è aver strappato Monza. Alla luce di questi risultati «non positivi», come li ha definiti il governatore Attilio Fontana ieri mattina a margine di un convegno sulla sanità pubblica, Salvini serra i ranghi in vista del prossimo appuntamento elettorale, una sfida che, a suo dire, «non possiamo perdere»: le regionali del 2023. Il segretario della Lega riunisce i vertici del partito – presente anche il ministro Giancarlo Giorgetti – a palazzo Lombardia, sede della Regione.

Ma prima vede Letizia Moratti che aveva seminato il panico tra le file del centrodestra dopo lo scatto in avanti di qualche giorno fa con la sua autocandidatura: «Molti ritengono che dopo un lavoro generoso e positivo di un anno e mezzo io possa essere una risorsa per il centrodestra e da tempo ho dato la mia disponibilità». Dopo il gelo tra gli alleati, ieri l’assessora aveva aggiustato il tiro: «Decideranno i partiti».

A palazzo Lombardia c’è anche Attilio Fontana che nei giorni scorsi aveva alzato la mano per dire ai colleghi leghisti di essere «disponibile per la ricandidatura ma solo se in accordo con l’intera coalizione». «Fontana è il candidato naturale, così come già confermato dagli altri leader della coalizione», è la nota che arriva a metà pomeriggio a conclusione del vertice del Carroccio. Ma è evidente che l’incastro nel puzzle del centrodestra non è all’orizzonte.

Anche nel centrosinistra, in piena ebrezza per le vittorie lombarde (e non solo), si guarda alle elezioni regionali del 2023. Ma senza soluzioni concrete: a meno di un coup de théâtre, non ci sono nomi pronti per la corsa al Pirellone. Il sindaco Beppe Sala, che avrebbe le carte in regola per tentare la sfida, sa bene che in caso di sconfitta perderebbe pure Milano. Carlo Cottarelli, più volte spinto in pista dal leader di Azione Carlo Calenda, nicchia. E di primarie, nel centrosinistra, non si vede neanche l’ombra. Forse in autunno. Ma nessuno si sbilancia.