Internazionale

L’Oim: «Nessuna notizia sulla sorte dei migranti»

Ecotombe Nell'Est della Libia ogni comunicazione è interrotta. Si prepara la missione di soccorso

Pubblicato circa un anno faEdizione del 13 settembre 2023

«Per adesso si possono fare solo speculazioni, dare numeri approssimativi», perché la «catastrofe» sul campo impedisce qualunque tipo di certezza. I numeri che cita un portavoce dell’Oim (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni) in Tripolitania sono infatti molto più “prudenti” rispetto a quelli che per tutta la giornata di ieri hanno campeggiato sui titoli dei giornali: 2.500 morti – ci dice raggiunto al telefono dal manifesto – oltre 30.000 gli sfollati. Dall’ovest, spiega, «l’Oim insieme ad altre agenzie delle Nazioni unite e la Croce rossa libica sta cercando di mettere insieme un piano di risposta», una missione diretta a est, verso la Cirenaica devastata dall’alluvione «per fornire cibo, assistenza sanitaria, aiuto psicologico».

Proprio a causa dell’entità della catastrofe è impossibile per ora avere informazioni chiare sulla sorte dei migranti nella zona colpita a est del Paese, dove peraltro la missione Oim conta meno uomini e donne «perché il governo riconosciuto dalla comunità internazionale è quello della Tripolitania, dove inoltre si concentra il maggior numero di migranti». Una popolazione che, in base ai dati dell’ultimo report dell’organizzazione, ha raggiunto le 700.000 persone che vivono in tutta la Libia – «per la maggioranza di loro è la destinazione definitiva, il Paese in cui cercano lavoro» -, e vive in prevalenza nelle aree urbane. I dati più aggiornati parlano invece di circa 6.000 migranti detenuti nei «centri di detenzione cosiddetti “ufficiali”, sia a Est che a Ovest, che sono quindi gli unici di cui riceviamo informazioni» – fra cui uno «particolarmente affollato», quello di Al Kufra, che si trova proprio nella Cirenaica travolta dall’acqua.

Fra le città più martoriate ci sono Bengasi e soprattutto il centro costiero di Derna, dove «il 25% della città è scomparso», come ha detto a Reuters il ministro dell’Aviazione civile Hichem Chkiouat. «Per due giorni – raccontano infatti dall’Oim – non siamo riusciti a metterci in contatto con dei colleghi che lavorano lì. La città ha sei punti d’ingresso che ora sono tutti inaccessibili, ogni comunicazione è interrotta».

A Bengasi, poi, «è facile immaginare come la situazione sia particolarmente critica per le tante persone originarie della città di Tawerga, che erano già sfollate» da prima dell’alluvione – provenienti dalla città “fantasma” disabitata dai combattimenti della guerra del 2011.
Per organizzare la missione di soccorso «ci vorranno dei giorni». Intanto continuano a sommarsi le cifre macabre delle vittime, i dispersi e gli sfollati.

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