Lo spot di Renzi sui 500 prof dall’estero: e tutti gli altri?
Università Università. Ecco perché l’annuncio di Renzi: faremo una chiamata diretta per 500 cervelli italiani dall’estero è meno strambo di quello che è. L'alternativa? Pagarne 500 per fare gli ambasciatori del Made in Italy. Come Farinetti di Eataly
Università Università. Ecco perché l’annuncio di Renzi: faremo una chiamata diretta per 500 cervelli italiani dall’estero è meno strambo di quello che è. L'alternativa? Pagarne 500 per fare gli ambasciatori del Made in Italy. Come Farinetti di Eataly
Diecimila pensionamenti di docenti non sostituiti, 90% di ricercatori con anni di studio e esperienza a fare la fame, alla scuola del lavoro gratuito e al servizio del barone, stipendi che sono la metà di quelli stranieri e per di più bloccati, palazzi che cadono a pezzi, servizi informatici arretrati, biblioteche coi fondi tagliati. chiuderebbero senza il lavoro degli studenti, di quelli che fanno servizio civile a 500 euro al mese per pochi mesi. E poi si cambia, mai assumere nessuno, perchè c’è il blocco del turn over. Studenti senza borse di studio che devono lavorare, e poi sono fatti fuori dalla riforma dell’Isee. Mille abilitati e se ne faranno altri. Che non avranno niente da fare, perché non ci sono posti né soldi.
E Renzi? Farà la chiamata diretta di 500 professori dall’estero.
“Nella legge di stabilità – ha detto il premier – ci sarà una misura ad hoc per portare in Italia 500 professori universitari anche italiani. Un modo per attrarre i cervelli con un concorso nazionale basato sul merito e gli diamo un gruzzolo per progetti di ricerca”.
L’annuncio è sembrato una pagliacciata, una gaffe, un pannicello. «Confonde il rientro degli studiosi dall’estero con la tornata dei concorsi nazionali e crea l’ennesimo pasticcio di cui non c’è bisogno» spiega Mimmo Pantaleo (Flc-Cgil). «Renzi manca totalmente di consapevolezza sulle priorità dell’università» afferma Dionisio (Udu). «Sono chiacchiere — sostiene Campailla (link) — Serve un intervento di risorse sull’Ffo, sul diritto allo studio ee la questione dell’Isee che esclude il 30% degli studenti aventi diritto, sul reclutamento di ricercatori e docenti, il rinnovo del contratto dei tecnici amministrativi». «Il rientro dei ricercatori era una misura contenuta nel piano nazionale delle riforme nel Def, ma non basta: bisogna prevedere un piano straordinario di reclutamento che rimedi ai 10 mila pensionamenti che non sono stati sostituiti». Gaetano Manfredi, presidente della Crui denuncia il cronico sottofinanziamento degli atenei e il blocco del turn-over. Forza Italia boccia la proposta: «Ci sono oltre mille abilitati in attesa del concorso. Renzi pensi a loro».
Il 97% dei ricercatori è stato tagliato (In Italia)
Reazioni giustificate alla luce dei dati. In Italia le assunzioni sono bloccate dal 2007, il sistema è al collasso con una riduzione dal 2009 del 22% dei professori universitari, negli ultimi dieci anni è stato tagliato il 97% dei precari e le immatricolazioni sono diminuite dalle 340mila del 2003-2004 alle 260mila del 2013-2014. Secondo alcuni dati ricavati dall’indagine in corso «Ricercarsi», gli assunti sono stati solo il 6,7%. Non solo: nel 2014 l’università italiana è «dimagrita» di 2183 docenti e ricercatori. A fronte di 2324 pensionamenti sono stati attivati solo 141 ricercatori «di tipo B». Centoquarantuno. Nel frattempo sono aumentati i precari, le figure che permettono alle facoltà di sopravvivere. Gli assegni di ricerca attivati annualmente sono passati da circa 6 mila nel 2004 a oltre 14 mila nel 2014. Quest’anno la legge Gelmini provvederà a tagliarli: quelli attivati nel 2011 hanno infatti un limite massimo di 4 anni. Tra poco niente altri ricercatori diventeranno disoccupati. Stessa sorte toccherà nel 2015 per i contratti da ricercatori a tempo determinato di «tipo A». Anche loro sono in scadenza secondo i parametri della legge 240 del 2010.
Vuoi fare il dottorato? Paga!
Vogliamo parlare dei dottorandi? I giovani di cui tanto si parla, e tanto stringono il cuore? Ecco i dati. Nove atenei (sui 59 censiti) hanno aumentato tasse e contributi ai dottorandi che hanno vinto una borsa di studio. Al primo posto della classifica stilata dall’Adi risulta l’università della Basilicata con 1072,48 euro, segue l’università Politecnica delle Marche con 1051,38 euro (+743%), poi Parma (880), Ferrara (600), Bergamo (500), Siena (440) Sassari (379), Piemonte Orientale (346), Palermo (345) e Pavia (293). C’è poi lo scandalo dei «vincitori senza borsa». Oltre alla paralisi burocratica, e alla morte per asfissia da tagli, la riforma Gelmini ha peggiorato l’esistenza dei dottorandi che pagano per fare ricerca. Secondo l’Anvur, tra il 2003 e il 2013 queste figure erano più della metà dei dottorandi: tra il 55 e il 57%. Il boom è stato provocato dalla riforma che ha eliminato il limite massimo dei «senza borsa». Per fermare il ricorso a questi bandi il Ministero dell’Istruzione e dell’università è stato costretto a tornare sui suoi passi fissando al 75% il numero minimo di borse di studio pagate per ogni corso di dottorato.
Per l’Adi questa misura non ha cambiato la situazione. L’università di Salerno, ad esempio, chiede ai ricercatori senza borsa 1875 euro all’anno per i tre anni della durata del dottorato. Seguono Roma Tre con 1763 euro, il Politecnico di Milano con 1640 euro, lo Iuav a Venezia con 1608 euro, La Sapienza (1543), il Politecnico di Torino (1459), l’università mediterranea di Reggio Calabria (1418), la Magna Grecia di Catanzaro (1277), Pisa (1241) e Firenze (1209). L’Adi registra anche casi in cui la tassazione per i senza borsa è diminuta come a Sassari (-78,49%, da 520,75 nel 2012/13 a 112 euro nel 2013–4).
I 500 prof? E’ il neoliberismo, baby.
In attesa della “Buona Università” annunciata, tra mille dubbi e altrettante incertezze, le parole di Renzi non dovrebbero stupire. Se stupisce, allora conviene ribadire il piano politico sul quale si muove. Nel discorso al Politecnico di Torino, tenuto nel febbraio 2015, Renzi ha chiarito cosa intende fare: 1) distinguere università di serie A e B 2) gestione delle università come aziende sul mercato; 3) fare come la Germania.
A parte quest’ultimo punto, insensato e rivelatore del provincialismo di Renzi e della “classe dirigente” che si specchia in lui, in questo progetto è normale chiamare dall’estero 500 persone senza concorso, mediante una selezione “meritocratica” che non sarà tale e nemmeno efficiente (tutti i programmi di rientro dei cervelli sono falliti). Ed è normale mandare al macero i ricercatori, precari e abilitati, che resistono in Italia.
E’ la fotografia del mercato globale del lavoro della ricerca. Esiste ormai un mondo che vive di fondi milionari europei, e anche italiani, che vincono progetti e portano le risorse in Italia. negli atenei ormai morti e desertificati. La vittoria dei bandi, pochi ma ricchissimi di risorse, permette a questa classe globale di scegliere il paese e l’ateneo dove insediarsi e sviluppare la loro ricerca. Gli atenei non possono che ringraziare, perché quelle risorse per loro sono una manna che non riceveranno mai dallo Stato. E che Renzi non può, e non vuole, dargli. Sono i ricercatori, inseriti nelle reti globali, a finanziare gli atenei con il loro lavoro. Sono manager che lavorano da interfaccia con i miliardi di euro e dollari che circolano nel mondo e la miseria degli atenei – soprattutto italiani.
Il battaglione dei 500 che Renzi vuole arruolare appartengono a questo nuovo mondo della ricerca? Non è dato, al momento, saperlo. Ma ammettiamo che lo siano. Rifiuteranno la proposta di Renzi. Non c’è alcuna convenienza, nè razionalità, nell’accettare una simile proposta per tornare in un paese dove l’università agonizzante, burocratica, baronale. Con un po’ di fortuna, e competenza, questi ricercatori si fermeranno in altri paesi capaci di assicurargli un destino più che dignitoso. Nel caso in cui, invece, il progetto renziano sia rivolto a queste persone? Si sta pensando di realizzare un ricco fondo destinato solo al mercato globale – e non ai ricercatori precari autoctoni? Potrebbe essere una traccia, che invererebbe le velleità neoliberiste del premier. Con un certezza: una volta terminati i fondi, i 500 andranno via dall’Italia. E all’università non resterà nulla. Un’ideona: ma conforme alla divisione mondiale del mercato della ricerca. In questo mercato, l’Italia è assolutamente periferica.
In questo caso due generazioni di ricercatori precari, e con essi la riforma gelmini che li ha resi “abilitati” saranno bruciati. C’è anche un’altra soluzione: che Renzi stanzi le stesse risorse per mandare all’estero i precari e gli abilitati. A pensarci bene, potrebbero essere ambasciatori del Made in Italy nel mondo. Come farinetti di Eataly
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