Scuola

Lo spot di Renzi sui 500 prof dall’estero: e tutti gli altri?

Lo spot di Renzi sui 500 prof  dall’estero: e tutti gli altri?Salviamo la ricerca (tutta) dall'estinzione – tam tam

Università Uni­ver­sità. Ecco perché l’annuncio di Renzi: faremo una chia­mata diretta per 500 cer­velli ita­liani dall’estero è meno strambo di quello che è. L'alternativa? Pagarne 500 per fare gli ambasciatori del Made in Italy. Come Farinetti di Eataly

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 13 ottobre 2015

Diecimila pensionamenti di docenti non sostituiti, 90% di ricercatori con anni di studio e esperienza a fare la fame, alla scuola del lavoro gratuito e al servizio del barone, stipendi che sono la metà di quelli stranieri e per di più bloccati, palazzi che cadono a pezzi, servizi informatici arretrati, biblioteche coi fondi tagliati. chiuderebbero senza il lavoro degli studenti, di quelli che fanno servizio civile a 500 euro al mese per pochi mesi. E poi si cambia, mai assumere nessuno, perchè c’è il blocco del turn over. Studenti senza borse di studio che devono lavorare, e poi sono fatti fuori dalla riforma dell’Isee. Mille abilitati e se ne faranno altri. Che non avranno niente da fare, perché non ci sono posti né soldi.

E Renzi? Farà la chiamata diretta di 500 professori dall’estero.

“Nella legge di stabilità – ha detto il premier – ci sarà una misura ad hoc per portare in Italia 500 professori universitari anche italiani. Un modo per attrarre i cervelli con un concorso nazionale basato sul merito e gli diamo un gruzzolo per progetti di ricerca”.

L’annuncio è sembrato una pagliacciata, una gaffe, un pannicello. «Con­fonde il rien­tro degli stu­diosi dall’estero con la tor­nata dei con­corsi nazio­nali e crea l’ennesimo pastic­cio di cui non c’è biso­gno» spiega Mimmo Pan­ta­leo (Flc-Cgil). «Renzi manca total­mente di con­sa­pe­vo­lezza sulle prio­rità dell’università» afferma Dio­ni­sio (Udu). «Sono chiac­chiere — sostiene Cam­pailla (link) — Serve un inter­vento di risorse sull’Ffo, sul diritto allo stu­dio ee la que­stione dell’Isee che esclude il 30% degli stu­denti aventi diritto, sul reclu­ta­mento di ricer­ca­tori e docenti, il rin­novo del con­tratto dei tec­nici ammi­ni­stra­tivi». «Il rien­tro dei ricer­ca­tori era una misura con­te­nuta nel piano nazio­nale delle riforme nel Def, ma non basta: biso­gna pre­ve­dere un piano straor­di­na­rio di reclu­ta­mento che rimedi ai 10 mila pen­sio­na­menti che non sono stati sosti­tuiti». Gae­tano Man­fredi, pre­si­dente della Crui denun­cia il cro­nico sot­to­fi­nan­zia­mento degli ate­nei e il blocco del turn-over. Forza Ita­lia boc­cia la pro­po­sta: «Ci sono oltre mille abi­li­tati in attesa del con­corso. Renzi pensi a loro».

Il 97% dei ricercatori è stato tagliato (In Italia)

Reazioni giustificate alla luce dei dati. In Italia le assunzioni sono bloccate dal 2007, il sistema è al collasso con una riduzione dal 2009 del 22% dei professori universitari, negli ultimi dieci anni è stato tagliato il 97% dei precari e le immatricolazioni sono diminuite dalle 340mila del 2003-2004 alle 260mila del 2013-2014. Secondo alcuni dati rica­vati dall’indagine in corso «Ricer­carsi», gli assunti sono stati solo il 6,7%. Non solo: nel 2014 l’università ita­liana è «dima­grita» di 2183 docenti e ricer­ca­tori. A fronte di 2324 pen­sio­na­menti sono stati atti­vati solo 141 ricer­ca­tori «di tipo B». Centoquarantuno. Nel frat­tempo sono aumen­tati i pre­cari, le figure che per­met­tono alle facoltà di soprav­vi­vere. Gli asse­gni di ricerca atti­vati annual­mente sono pas­sati da circa 6 mila nel 2004 a oltre 14 mila nel 2014. Quest’anno la legge Gel­mini prov­ve­derà a tagliarli: quelli atti­vati nel 2011 hanno infatti un limite mas­simo di 4 anni. Tra poco niente altri ricer­ca­tori diven­te­ranno disoc­cu­pati. Stessa sorte toc­cherà nel 2015 per i con­tratti da ricer­ca­tori a tempo deter­mi­nato di «tipo A». Anche loro sono in sca­denza secondo i para­me­tri della legge 240 del 2010.

Vuoi fare il dottorato? Paga!

Vogliamo parlare dei dottorandi? I giovani di cui tanto si parla, e tanto stringono il cuore? Ecco i dati. Nove ate­nei (sui 59 cen­siti) hanno aumen­tato tasse e con­tri­buti ai dot­to­randi che hanno vinto una borsa di studio. Al primo posto della clas­si­fica sti­lata dall’Adi risulta l’università della Basi­li­cata con 1072,48 euro, segue l’università Poli­tec­nica delle Mar­che con 1051,38 euro (+743%), poi Parma (880), Fer­rara (600), Ber­gamo (500), Siena (440) Sas­sari (379), Pie­monte Orien­tale (346), Palermo (345) e Pavia (293). C’è poi lo scan­dalo dei «vin­ci­tori senza borsa». Oltre alla para­lisi buro­cra­tica, e alla morte per asfis­sia da tagli, la riforma Gel­mini ha peg­gio­rato l’esistenza dei dot­to­randi che pagano per fare ricerca. Secondo l’Anvur, tra il 2003 e il 2013 que­ste figure erano più della metà dei dot­to­randi: tra il 55 e il 57%. Il boom è stato pro­vo­cato dalla riforma che ha eli­mi­nato il limite mas­simo dei «senza borsa». Per fer­mare il ricorso a que­sti bandi il Mini­stero dell’Istruzione e dell’università è stato costretto a tor­nare sui suoi passi fis­sando al 75% il numero minimo di borse di stu­dio pagate per ogni corso di dottorato.

Per l’Adi que­sta misura non ha cam­biato la situa­zione. L’università di Salerno, ad esem­pio, chiede ai ricer­ca­tori senza borsa 1875 euro all’anno per i tre anni della durata del dot­to­rato. Seguono Roma Tre con 1763 euro, il Poli­tec­nico di Milano con 1640 euro, lo Iuav a Vene­zia con 1608 euro, La Sapienza (1543), il Poli­tec­nico di Torino (1459), l’università medi­ter­ra­nea di Reg­gio Cala­bria (1418), la Magna Gre­cia di Catan­zaro (1277), Pisa (1241) e Firenze (1209). L’Adi regi­stra anche casi in cui la tas­sa­zione per i senza borsa è dimi­nuta come a Sas­sari (-78,49%, da 520,75 nel 2012/13 a 112 euro nel 2013–4).

I 500 prof? E’ il neoliberismo, baby.

In attesa della “Buona Università” annunciata, tra mille dubbi e altrettante incertezze, le parole di Renzi non dovrebbero stupire. Se stupisce, allora conviene ribadire il piano politico sul quale si muove. Nel discorso al Politecnico di Torino, tenuto nel febbraio 2015, Renzi ha chiarito cosa intende fare: 1) distinguere università di serie A e B 2) gestione delle università come aziende sul mercato; 3) fare come la Germania.

A parte quest’ultimo punto, insensato e rivelatore del provincialismo di Renzi e della “classe dirigente” che si specchia in lui, in questo progetto è normale chiamare dall’estero 500 persone senza concorso, mediante una selezione “meritocratica” che non sarà tale e nemmeno efficiente (tutti i programmi di rientro dei cervelli sono falliti). Ed è normale mandare al macero i ricercatori, precari e abilitati, che resistono in Italia.

E’ la fotografia del mercato globale del lavoro della ricerca. Esiste ormai un mondo che vive di fondi milionari europei, e anche italiani, che vincono progetti e portano le risorse in Italia. negli atenei ormai morti e desertificati. La vittoria dei bandi, pochi ma ricchissimi di risorse, permette a questa classe globale di scegliere il paese e l’ateneo dove insediarsi e sviluppare la loro ricerca. Gli atenei non possono che ringraziare, perché quelle risorse per loro sono una manna che non riceveranno mai dallo Stato. E che Renzi non può, e non vuole, dargli. Sono i ricercatori, inseriti nelle reti globali, a finanziare gli atenei con il loro lavoro. Sono manager che lavorano da interfaccia con i miliardi di euro e dollari che circolano nel mondo e la miseria degli atenei – soprattutto italiani.

Il battaglione dei 500 che Renzi vuole arruolare appartengono a questo nuovo mondo della ricerca? Non è dato, al momento, saperlo. Ma ammettiamo che lo siano. Rifiuteranno la proposta di Renzi. Non c’è alcuna convenienza, nè razionalità, nell’accettare una simile proposta per tornare in un paese dove l’università agonizzante, burocratica, baronale. Con un po’ di fortuna, e competenza, questi ricercatori si fermeranno in altri paesi capaci di assicurargli un destino più che dignitoso. Nel caso in cui, invece, il progetto renziano sia rivolto a queste persone? Si sta pensando di realizzare un ricco fondo destinato solo al mercato globale – e non ai ricercatori precari autoctoni? Potrebbe essere una traccia, che invererebbe le velleità neoliberiste del premier. Con un certezza: una volta terminati i fondi, i 500 andranno via dall’Italia. E all’università non resterà nulla. Un’ideona: ma conforme alla divisione mondiale del mercato della ricerca. In questo mercato, l’Italia è assolutamente periferica.

In questo caso due generazioni di ricercatori precari, e con essi la riforma gelmini che li ha resi “abilitati” saranno bruciati. C’è anche un’altra soluzione: che Renzi stanzi le stesse risorse per mandare all’estero i precari e gli abilitati. A pensarci bene, potrebbero essere ambasciatori del Made in Italy nel mondo. Come farinetti di Eataly

Smette quando vuole un ricercatore precario?

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