Questa è una storia sbagliata che inizia cinquant’anni fa (7 aprile 1973, dopo domai l’anniversario), si consuma in una settimana (12 aprile 1973), riemerge nel gennaio 2007 e arriva sullo scranno più alto del Senato. Una storia conosciuta ma da ripassare.

Il protagonista si chiama Nico Azzi, iscritto al Msi fin dagli anni Sessanta poi tra i capi fascisti milanesi nella tristemente nota piazza San Babila ed infine approdato sulle sponde de «La Fenice» gruppo legato ad Ordine Nuovo, fondato da Pino Rauti (padre dell’attuale sottosegretaria alla Difesa) e responsabile della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969.

Il 7 aprile 1973 Nico Azzi sale sul treno Torino-Genova-Roma camuffato da militante di sinistra, mostrandosi platealmente ai passeggeri con una copia di «Lotta Continua». Poi entra nel bagno e inizia ad armeggiare con una bomba che intende far esplodere facendo ricadere la responsabilità sui «rossi», rilanciando così la matrice artatamente costruita per la strage di Piazza Fontana e per gli attentati del 12 dicembre 1969 a Roma. L’ordigno invece gli esplode tra le mani e lo ferisce. Il bombarolo viene arrestato e identificato come fascista.

Il 12 aprile 1973 il Msi organizza a Milano un corteo non autorizzato con la presenza di Ciccio Franco e i suoi «boia chi molla» di Reggio Calabria. La manifestazione marcia verso la Prefettura, «rea» di aver vietato il raduno, ed è guidata dai «federali» locali: Franco Maria Servello, Franco Petronio e Ignazio Benito La Russa.

Finisce con scontri tra polizia e neofascisti culminati con il lancio di bombe a mano (ad opera di Vittorio Loi e Maurizio Murelli) che uccidono l’agente di Ps Antonio Marino. A fornire le bombe Srcm, come ammetterà egli stesso, era stato proprio Nico Azzi. Per le strade degli scontri vengono sparse delle tessere del Pci al fine di accreditare quella che «Il Secolo d’Italia» indicherà come la pista degli infiltrati comunisti nel corteo.

I giorni dell’aprile 1973 disegnano così un inquietante parallelo con quelli di Piazza Fontana secondo lo schema che prevedeva la strage di civili (da attribuire all’estrema sinistra) e una successiva manifestazione del Msi con l’obiettivo della proclamazione di misure emergenziali di ordine pubblico per sospendere la Costituzione.

Lo stesso schema pensato per il raduno del Msi del 14 dicembre 1969 a Roma (vietato dal ministero dell’Interno su richiesta di Ugo La Malfa) all’indomani dell’eccidio di Milano.

Scrive Vincenzo Vinciguerra, ex ordinovista autore reoconfesso della strage di Peteano del 31 maggio 1972: «Il collegamento fra la strage mancata sul treno del 7 aprile e gli incidenti del 12 aprile, lo stabilì con estrema chiarezza proprio Nico Azzi il 26 aprile 1973, quando confessò di essere stato lui a procurare le bombe a mano che poi vennero impiegate in piazza quel tragico giorno. Era la prova di un piano preordinato che includeva due eventi: il massacro sul treno ed i morti sulle strade».

Quelli del 1973 sono mesi in cui per la Repubblica i pericoli eversivi provenienti dall’estrema destra (sociale, economica e militare prima ancora che politica) sono denunciati tanto da Aldo Moro: «Se non saremo capaci di tenere saldamente in mano il Paese con gli strumenti della democrazia – affermò subito dopo l’assassinio dell’agente Marino – l’iniziativa passerà nelle mani di chi crede soltanto nella violenza. E la usa», quanto da Pietro Nenni: «Nei prossimi cento giorni si decideranno le sorti del Paese. Se il centro-sinistra fallisse l’alternativa sarebbe la destra e non dalla svolta molle ma dalla svolta dura».

Il partito di Almirante (su cui pendeva una richiesta di autorizzazione a procedere per ricostituzione del partito fascista presentata dal Procuratore generale Luigi Bianchi D’Espinosa) cercherà goffamente di dissociarsi dai fatti di Milano sostenendo l’estraneità dei due autori dell’omicidio al partito. Tuttavia, al momento dell’arresto, Murelli ha in tasca la tessera del Msi mentre Loi ha già militato per anni nella Giovane Italia. I due sono condannati a 18 e 19 anni di carcere.

La Camera dei deputati nega l’autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari Servello e Petronio (poi clamorosamente assolti nel 1978 dal Tribunale di Milano) consentendo, di fatto, al Msi di evitare una messa in stato d’accusa per ricostituzione del partito fascista.

Il segretario provinciale del Fronte della Gioventù Ignazio La Russa, pur indicato come uno dei responsabili della piazza, se la cava senza danni diversamente da suo fratello Romano (oggi assessore alla sicurezza della Regione Lombardia) arrestato insieme ad Alberto Stabilini.

Nel settembre 2022 al funerale di Stabilini proprio Romano La Russa è immortalato nel «saluto romano» al vecchio camerata. Nico Azzi venne condannato a due anni di carcere. Morì il 10 gennaio 2007.

A rendere omaggio alle sue esequie (tra braccia tese e grida di «presente!») giunse Ignazio La Russa: ex dirigente dell’epoca e, cinquant’anni dopo, Presidente del Senato. Uno «sgrammaticato istituzionale» dice Giorgia Meloni per le menzognere dichiarazioni fatte in difesa della premier su Via Rasella.