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Lo scontro tra liberisti e mezzadri

Lo scontro tra liberisti e mezzadriRoma, a Ostia spiagge aperte – LaPresse

Bruxelles vs Roma Nell’un caso e nell’altro ad essere sottratto alla libera fruizione dei cittadini è un bene comune, il libero accesso alla costa, che nel corso degli anni è stato reso sempre più scarso

Pubblicato più di un anno faEdizione del 22 aprile 2023

La prima difende la continuità di diritti di sfruttamento dello spazio pubblico acquisiti, a prezzo irrisorio e non di rado sulla base di scambio politico, da lungo tempo. La seconda intende immettere quegli stessi spazi pubblici alienati nel libero mercato dominato dalle regole della concorrenza.

Nel primo caso si tratta di una forma di appropriazione simile alle enclosures, le recinzioni delle terre comuni, volute e favorite dal potere politico nell’Inghilterra del XVIII secolo. Ed è ovvio che su proprietà così acquisite siano stati effettuati investimenti (spesso con obbrobriose conseguenze paesaggistiche e ambientali) per renderle più redditizie. Ora è proprio sulla base di questi investimenti che si intendono legittimare i diritti (anche ereditari) di proprietà e la loro proroga.

Nel secondo caso si tratta di ricondurre gli arenili nelle forme correnti della privatizzazione volte alla razionalizzazione dei costi, alla massimizzazione dei profitti e alla standardizzazione dell’offerta. Nell’un caso e nell’altro ad essere sottratto alla libera fruizione dei cittadini è un bene comune, il libero accesso alla costa, che nel corso degli anni è stato reso sempre più scarso e che con l’allargamento delle concessioni (di fatto irreversibile), autorizzato durante la pandemia con il pretesto del distanziamento, ha subito una ulteriore contrazione.

L’argomento dietro cui si nasconde solitamente questa appropriazione di spazio pubblico è l’offerta di servizi. Ma può definirsi servizio un acquisto obbligatorio e imposto (peraltro assai oneroso) senza il quale l’accesso a numerosi e pregiati tratti di costa è di fatto precluso come a qualunque altra proprietà privata?

Si dice che con le sue migliaia di chilometri di costa gli spazi balneari in Italia non costituiscano un bene scarso. Ma se si escludono le concessioni, le ville a mare, gli hotel e i villaggi con le loro spiagge private, gli impianti industriali, le zone portuali, le servitù militari, le aree ad alto tasso di inquinamento nonché i tratti di costa protetti o morfologicamente irraggiungibili, l’abbondanza di spazio libero si riduce di molto. E non è escluso che per accontentare più appetiti, nello scontro tra liberisti e mezzadri balneari, lo stato e i comuni decidano di mettervi mano.

Per la destra al governo si tratta di un bel problema. Come conciliare infatti interessi corporativi e particolari, a cui è ideologicamente e tradizionalmente legata, con la piena adesione alla dottrina neoliberista, alla libera circolazione dei capitali e al principio della concorrenza? In questo caso non è facile svicolare o celarsi dietro qualche fumisteria. Le concessioni demaniali e il loro mercato riguardano direttamente lo stato e chi lo governa e dunque anche il rapporto con le sue clientele.

Fino a qui la destra al governo ha pensato bene di cavarsela affiancando a politiche di austerità di stampo classicamente liberista, retorica, ideologia e piglio repressivo che non hanno mancato di attirare su di sé tutta l’attenzione di una sinistra completamente disarmata nei confronti delle prime. E piuttosto taciturna sulla questione dei balneari e del mercato dei beni demaniali.

Ora, le “sacre sponde” oltre che dai migranti dovranno essere difese anche dalla direttiva Bolkenstein, compito altrettanto difficile. Ma c’è da scommettere che se la “protezione speciale” dei balneari comincerà a vacillare non sarà certo a vantaggio dei bagnanti incapienti, oggi vessati dai padroncini delle spiagge.

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