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Lo scontro che Biden non può vincere

Lo scontro che Biden non può vincereCorte suprema a Washington – Ap

Diritti La Corte con questa decisione, e con quella sulle armi che l’ha immediatamente preceduta, si è inserita nel processo di radicalizzazione che ha investito la società americana, rafforzandolo.

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 28 giugno 2022

Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization si colloca tra le sentenze che fanno la storia. Ovviamente, dal lato sbagliato. Sui più autorevoli giornali che esprimono l’opinione pubblica moderata e liberal, come il New York Times o il Washington Post, la critica è stata dura e immediata, e non solo per la lesione inflitta alla condizione della donna. C’è il timore di una estensione ad altre situazioni sensibili, come il matrimonio tra persone dello stesso sesso, la pillola abortiva o persino la contraccezione in sé. È una sentenza regressiva che apre a un medioevo dei diritti.

E che spacca il paese. Le proteste di piazza ne sono controprova. La Corte con questa decisione, e con quella sulle armi che l’ha immediatamente preceduta, si è inserita nel processo di radicalizzazione che ha investito la società americana, rafforzandolo. In fondo, i giudici nominati da Trump hanno portato il trumpismo nelle – fin qui – ovattate stanze del giudice delle leggi. Con quali prospettive?

ANZITUTTO va considerato che la nomina dei giudici della Corte suprema è a vita «during good behaviour» (art. III, sect. I). Questo fa pensare che la linea di Dobbs è destinata a durare, e probabilmente ad esprimere capacità espansiva, se fattispecie ulteriori sono portate all’attenzione della Corte. Ce lo dice soprattutto il linguaggio usato in Dobbs, davvero insolito. La sentenza overruled – Roe vs Wade – era «egregiously wrong» e in rotta di collisione con la Costituzione fin dal giorno della decisione («a collision course with the Constitution from the day it was decided»). Il ripudio non potrebbe essere più netto. Questo suggerisce che il contrasto tra la Corte e larga parte del paese sia destinato a durare, o persino ad accrescersi.

Si può fare qualcosa per evitarlo? Non molto. Il presidente Biden nell’immediato ha fatto riferimento a un intervento correttivo del Congresso. Ma la via è impervia. La Corte argomenta in Dobbs che la materia è rimessa agli stati, e che la decisione deve essere adottata dal popolo sovrano. La critica di Dobbs è che i contrari alla linea della Corte in Roe non potevano più persuadere i propri rappresentanti elettivi ad adottare politiche coerenti con le loro convinzioni. La Corte aveva «short-circuited the democratic process». E perché la riserva all’assemblea elettiva statale e non anche al Congresso? Perché questo potrebbe intervenire solo se fosse in gioco un diritto garantito dalla Costituzione federale, che nella specie non esiste. Dunque, una legge federale che tentasse di ripristinare un diritto di scelta della donna dovrebbe essere considerata incostituzionale.

LE SENTENZE della Corte Suprema hanno in più occasioni sollevato proteste e polemiche. Ma un contrasto così forte, tale da portare a una esplicita e dura condanna persino da parte del Presidente in carica al di là della usuale etichetta istituzionale, forse risale addirittura agli anni del New Deal, quando la Corte si oppose in nome del laissez faire alla legislazione interventista con la quale Roosevelt cercava di uscire dalla Depressione. Poiché il numero dei giudici è stabilito con legge e non in Costituzione, Roosevelt minacciò allora di aumentare i componenti in misura tale da capovolgere la maggioranza. Nel 1937 uno dei giudici, fino ad allora contrario, cambiò posizione e si formò così una maggioranza favorevole alla legislazione interventista. Fu «the switch in time that saved nine».

Ma la differenza è che Roosevelt, fortemente sostenuto dal paese, avrebbe avuto in Congresso i voti per il suo progetto. Voti che oggi Biden non avrebbe. Al più Biden potrà cercare – e non è affatto certo che ci riesca – di temperare alcuni effetti collaterali, ad esempio difendendo il commercio interstatale delle pillole abortive, o dando un aiuto federale alle cliniche che praticano l’aborto laddove consentito, agli stati che le ospitano, o alle donne costrette a un turismo abortivo che non possono permettersi.
Il resto è affidato alla battaglia politica, in cui i giudici costituzionali, con buona pace dell’aura di cui amano circondarsi, sono parte, sia pure in modi diversi da quelli propri dei legislatori dei cui atti sono chiamati ad occuparsi. Due cose sono certe. La prima: nei sistemi federali, regionali o consimili i diritti sono veramente tali se non sono lasciati alle decisioni locali. La seconda: da una corte di destra, come da un legislatore di destra, non possiamo aspettarci nulla di buono.

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