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L’Italia esulta. Ora per Fitto c’è l’osso duro Dombrovskis

Raffaele Fitto al Parlamento europeo foto di Mathieu CugnotRaffaele Fitto al Parlamento europeo – foto di Mathieu Cugnot

Ue Meloni torna in scena, ma calamitata nell’orbita di un Ppe che ha divorato gli alleati

Pubblicato 28 giorni faEdizione del 18 settembre 2024

Il giubilo è sincero, direttamente proporzionale alla paura che la partita europea si risolvesse in catastrofe come sembrava dovesse andare a finire in luglio. Il centrodestra occupa le agenzie di stampa, non c’è nessuno che non sgomiti per strillare incommensurabile soddisfazione per la vicepresidenza esecutiva assegnata a Fitto, con delega alla Coesione e alle Riforme. Le iperboli si sprecano e Lollobrigida va vicino all’aggiudicarsi il primo premio col suo «Ora l’Italia è l’architrave d’Europa», roba che al confronto Arianna Meloni, per cui è solo «una vittoria di tutti gli italiani», brilla per sobrietà. La soddisfazione deriva anche dall’accusa rivolta dall’opposizione al governo dopo il voto contro von der Leyen di aver condannato l’Italia all’irrilevanza. Poteva andare davvero così e il sospiro di sollievo è comprensibile.

PERCHÉ ALL’ITALIA UN RUOLO di rilievo e ai Verdi, che avevano votato la presidente, nemmeno un commissario? «Perché c’è il peso di una nazione che conta, di una nazione forte», risponde la premier intervistata da Bruno Vespa. Giorgia Meloni esalta l’importanza delle deleghe di Raffaele Fitto, considerandole entrambe economiche. Solo la Coesione vale circa 400 miliardi fino al 2027, altrettanti se ne aggiungeranno con la programmazione successiva. Un sacco di soldi. Il Pnrr, competenza quantificata in 600 miliardi, Fitto deve spartirlo con il potentissimo Dombrovskis, che però stavolta non è vice presidente ma ha collezionato un diluvio di deleghe. Va bene anche così. In più la vicepresidenza consente, sempre nella visione rosea della premier, di coordinare materie come agricoltura e pesca, essenziali per il Paese.

SULLA NOMINA DI FITTO pesa ancora l’incognita del voto delle commissioni del Parlamento europeo ma la premier non se ne preoccupa troppo. Si mostra convinta che il Pd non potrà schierarsi contro il commissario italiano, «perché così si fa nelle nazioni serie» e che il gruppo dei Socialisti e Democratici non potrà rinnegare il voto della sua delegazione più folta, appunto quella italiana. È un calcolo fondato.

C’è un bel po’ di esagerazione nel tripudio del centrodestra ma il successo politico è reale. Cacciata dalla porta per il veto di Macron e Scholz a luglio, l’Italia è rientrata non dalla finestra ma dalla porta principale e con tutti gli onori. La maggioranza che si era formata con la rielezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione non c’è più. I partiti della destra italiana già danno per scontato che i Verdi non voteranno la nuova commissione, siglando così la trasformazione della coalizione Ursula in una maggioranza se non proprio di centrodestra almeno fortemente sbilanciata su quel versante. L’egemonia assoluta è in realtà di un Ppe che ha divorato gli alleati ma Fitto, fanno notare da Forza Italia, «è sotto l’ombrello del Ppe». Vero, però non è precisamente quello a cui mirava Meloni che si ritrova ora calamitata nell’area di influenza dei Popolari. Comunque molto meglio del ghetto soffocante dove ha rischiato grosso di finire.

LA VITTORIA POLITICA è indiscutibile e dovuta anche al tentativo fallimentare degli alleati del Ppe di sbarrare la strada al commissario italiano. Quel veto il presidente dei Popolari Weber e la presidente della Commissione von der Leyen lo hanno semplicemente ignorato, mettendo così in evidenza l’impotenza di alleati che pagano tutti l’handicap di essere usciti sconfitti dalle elezioni europee. Nella sostanza però il peana è meno giustificato. Le deleghe di Fitto sono rilevanti ma non eccezionali. Non differiscono da quelle che aveva nella commissione uscente la portoghese Elisa Ferreira e non è detto che aumentino il potere contrattuale dell’Italia. L’ingresso nella maggioranza faciliterà un po’ le cose nella trattativa d’autunno con la Ue ma in misura molto limitata e il problema centrale invece è quello.

IL PIANO STRUTTURALE di bilancio varato ieri dal consiglio dei ministri implica appunto un negoziato serrato per definire in cambio di quali riforme strutturali l’Italia otterrà il diritto di rientrare nei parametri in 7 invece che in 4 anni. Negli equilibri che si sono configurati ieri, la controparte con cui dovrà vedersela sarà proprio Dombrovskis. Con tutta la vicepresidenza esecutiva di Raffaele Fitto è facile che si dimostri un osso durissimo.

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