Liste, l’effetto smobilitazione precipita a sinistra
Elezioni Con i suoi incastri tra i diversi tipi di collegio, il Rosatellum impone una «iper-centralizzazione» delle strategie di dislocazione delle «truppe» sul territorio. Il centrodestra si può giovare di una struttura di comando verticale. Nel Pd, il bastone del comando è altrettanto centralizzato, ma i posti tendono a scarseggiare, e la logica oligarchica del leader dem potrà avere costi elevati
Elezioni Con i suoi incastri tra i diversi tipi di collegio, il Rosatellum impone una «iper-centralizzazione» delle strategie di dislocazione delle «truppe» sul territorio. Il centrodestra si può giovare di una struttura di comando verticale. Nel Pd, il bastone del comando è altrettanto centralizzato, ma i posti tendono a scarseggiare, e la logica oligarchica del leader dem potrà avere costi elevati
«Il partito che non c’è»: possiamo sintetizzare così il senso di quanto avvenuto in questi ultimi giorni. Alle normali tensioni che accompagnano la «chiusura» delle liste, si sono accompagnati altri fattori, che hanno reso questa fase ancor più aggrovigliata, confusa, lacerante.
Primo fra tutti, una legge elettorale che, come novello Frankenstein, è sfuggita di mano ai suoi geniali inventori. Una legge che, alla normale incertezza dei risultati elettorali, aggiunge alcuni meccanismi che determinano l’imprevedibilità e finanche la casualità dei possibili esiti. Il tutto reso ancora più aleatorio dalla prevedibile volatilità del voto, e dall’ancora altissimo numero di indecisi. «Un’esperienza devastante», come l’ha definita Renzi. E tuttavia vi sono differenze tra le diverse forze politiche. Il centrodestra gioca comunque sul velluto: quando i numeri previsti sono abbondanti, le contrattazioni, per quanto faticose, sono più facili.
Questa legge, con i suoi incastri tra i diversi tipi di collegio, impone una «iper-centralizzazione» delle strategie di dislocazione delle «truppe» sul territorio, se si vuole «usarla» in modo efficace: e il centrodestra si può comunque giovare di una struttura di comando verticale. Nel Pd, il bastone del comando è altrettanto centralizzato, ma i posti tendono a scarseggiare, e la logica oligarchica di Renzi potrà avere costi elevati. Inoltre, com’è oramai evidente, Renzi è preda di un cupio dissolvi, e l’unica cosa che davvero gli interessa è quello di creare una propria falange di fedelissimi.
TRA I TANTI possibili effetti imprevisti di questa folle legge elettorale va poi messo nel conto un aspetto finora sottovalutato: le liste «corte», appena quattro candidati proporzionali per un territorio molto vasto. Da qui un possibile effetto di «smobilitazione», che vale per tutti i partiti, ma per alcuni in particolare. Ad esempio, le elezioni siciliane hanno mostrato come il Pd sia stato il partito con il più alto tasso di uso del voto di preferenza: il suo voto è stato trainato dai «signori delle preferenze». Ebbene, cosa accadrà in tutto il centro-sud in presenza di liste con pochi candidati, con intere province prive o quasi di possibili rappresentanti, e senza il «motore» della competizione personale?
ANCHE IL M5S sta rivelando pienamente la natura oligarchica della sua struttura di comando, con una totale opacità dei criteri che hanno governato le «parlamentarie»: un talent-show televisivo, al confronto, è più trasparente. E tuttavia, nel M5S c’è un elemento (inquietante) che manca altrove: una legittimazione «carismatica» del Capo. In fondo, militanti e elettori sanno benissimo che comandano in pochi, e accettano l’idea che siano quei pochi a decidere, in modo imperscrutabile. Per questo, tra l’altro, tutte le critiche che sbeffeggiano queste procedure sembrano scivolare come acqua sul marmo, e non sembrano intaccare i livelli di consenso di cui gode il M5S.
E, INFINE, Liberi e Uguali. È inutile nasconderselo: questa fase di definizione delle liste rischia di provocare un serio danno di immagine a LeU. Se ciò è accaduto, o rischia di accadere, è giusto chiamare a risponderne il «quartier generale». Ma quale è il vero capo d’accusa che si può sollevare? Molti problemi sono nati proprio da una debole capacità di governare politicamente, «dall’alto», questa delicata fase, e da una sottovalutazione dei rischi che potevano derivarne. I vertici di LeU hanno alimentato aspettative illusorie di «partecipazione dal basso»: ma la coperta era troppo corta, dato il numero ristretto dei candidati e degli eletti ipotizzabili anche nella più ottimistica delle previsioni.
MA SOPRATTUTTO quella che è generalmente mancata è una vera e generosa propensione al rischio, decisiva nel momento in cui si avvia un nuovo processo politico, tanto più necessaria date le caratteristiche del sistema elettorale. Non può essere un caso se si è diffusa una pessima impressione: quella di un ceto politico-parlamentare preoccupato solo di auto-riprodursi. Nessun facile moralismo «anti-politico», beninteso: realisticamente, non si può pensare che una tale logica sia eliminabile. Ma qui sembra che si sia andati oltre la cerchia di chi è comunque legittimato dal ruolo di responsabilità politica fin qui ricoperto.
LE LISTE potevano essere un momento in cui dare slancio a questo progetto politico, «smuovendo» anche i sondaggi, che ristagnano da un mese: questo, almeno per ora, sembra accaduto solo in parte. L’eccesso «protezionistico» ha prodotto effetti negativi, sommandosi ai meccanismi folli di attribuzione dei seggi previsti dalla legge elettorale (ad esempio, la clausola per cui, in caso di pluri-elezione, l’elezione «scatta» nel collegio in cui la lista ha ottenuto il peggiore risultato!) Da qui, la moltiplicazione delle pluri-candidature e l’ulteriore riduzione degli spazi, anche solo per candidature «di servizio» che potevano essere un fattore di mobilitazione.
AL FONDO, TUTTAVIA, agisce anche un elemento cruciale, che ci riporta all’inizio del nostro discorso: l’assenza di un partito degno di questo nome, con procedure democratiche che permettano una compiuta legittimazione dei gruppi dirigenti e delle loro scelte. Senza questo elemento, e senza – per fortuna! – alcuna legittimazione carismatica dei Capi, le necessarie scelte «dall’alto», quali che esse siano, recano con sé un alone di arbitrarietà.
È PROBABILE che, nel marasma generale di questi giorni, le difficoltà interne di LeU non giungano nemmeno ad essere percepite dalla più vasta opinione pubblica: forse non faranno danni, ma LeU rischia di non giovarsi del potenziale espansivo che invece poteva esserci. Non si devono sottovalutare il disorientamento e la possibile smobilitazione di molte energie militanti. Di questo dato, i vertici di LeU, in tutte le sue componenti, devono essere ben consapevoli, cercando di rimediare alle scorie che questa fase lascerà sul campo. Un dignitoso risultato elettorale di LeU è auspicabile, per tanti motivi; ma forse soprattutto per una ragione: aprire la via alla costruzione di un vero partito della sinistra. Si riuscirà a dare un forte messaggio in questo senso?
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