Per cominciare un’annotazione di tipo pessimistico. Riguarda l’ineleganza (al posto di ineleganza ci può stare anche la parola grossolanità) di certi personaggi dell’italico teatrino politico, presenti a destra come a sinistra, anzi, in qualche caso, dotati anche di biografie degne di encomio. Prendiamo i candidati della Lista “L’Altra Europa con Tsipras”: speravo di non imbattermi in nessun caso di «ineleganza». E invece eccomi qui a dare atto di un doloroso ravvedimento, maturato sull’onda di una successione di messaggi di posta elettronica via via più risentiti contro i vari comitati elettorali e in parte contro gli stessi Garanti della Lista.

Non dubito che molte di queste rimostranze, arrivate a cascata in questi ultimi giorni, siano fondate e che, qua e là, si siano verificate situazioni sgradevoli e irregolarità dovute soprattutto – così viene denunciato – all’invadenza dei candidati-concorrenti designati e sostenuti da Sel e da Rifondazione comunista. Tuttavia l’asprezza di taluni messaggi mi è parsa francamente sospetta, intrisa di quel risentimento personale tipico di chi ha giocato la partita non tanto per dare qualcosa di sé e basta, ma piuttosto nella speranza di ricevere qualcosa ( un premio chiamato Strasburgo?).

Ancora più meschina e incomprensibile la presa di posizione di alcune/i contro un eventuale ripensamento di Barbara Spinelli rispetto al suo proposito iniziale di rinunciare al seggio se eletta. Come se per una donna del peso intellettuale e del prestigio politico della Spinelli sedere al parlamento europeo fosse un vantaggio e non un sacrificio, un premio e non una pesante responsabilità. E qui mi pare giusto chiudere la partita con l’«ineleganza» (e quindi con il pessimismo) per aprirne un’altra di piglio completamente diverso. Sull’esito di queste elezioni europee.

Un milionecentottomilaquattrocentocinquantasette: è un bel numero, no? Lasciamo perdere se la lista “L’Altra Europa con Tsipras” ha superato la soglia di sbarramento soltanto di un soffio. Non sono le soglie di sbarramento a decidere la portata e il significato politico di un risultato elettorale. Impossibile per esempio, nella valutazione di questo 4,03 per cento conseguito, non tener conto del fatto che soltanto pochissimi mesi fa della Lista Tsipras non esisteva traccia, che essa è nata come iniziativa estemporanea da parte di un esiguo gruppo di intellettuali, tra l’altro non legati tra loro da alcun particolare vincolo politico-ideologico, anzi con tutta probabilità diversamente orientati su talune questioni di carattere generale, anche se sicuramente coincidenti nella loro accanita passione democratica, nel condannare la sistematica demolizione, in corso in tutta Europa, dello stato sociale a vantaggio degli istinti animali del neo-liberismo imperante.

Di qui la domanda, tutt’altro che illegittima: se questa volta è bastato alzare un dito, pronunciare soltanto poche parole per provocare una discreta fiammata (oltre un milione di voti, appunto) che cosa può succedere domani, dopo che la neonata iniziativa avrà avuto modo di farsi conoscere meglio, di organizzarsi dando evidenza alle riserve di intelligenza, onestà e lungimiranza politica presenti nel suo seno?

Ribadisco: si tratta di una domanda del tutto legittima. Ma anche pericolosa se trasformata in uno strumento di auto-esaltazione e di eccessivamente ambiziosa progettualità. Mettere a frutto un piccolo capitale politico non è impresa facile. Il rischio di bruciarlo esiste, inutile nasconderselo: di questi tempi basta un piccolo passo falso per mandare tutto all’aria. Non credo di esagerare perciò affermando che il tema del che fare? terrà a lungo banco tra quanti hanno aderito, a vario titolo, alla Lista Tsipras e ora si interrogano sul suo futuro.

Intendiamoci: nessuno dubita che l’esperienza politico-associativa debba continuare, che ormai sia stato piantato un paletto solidissimo e che sarebbe semplicemente folle pretendere di rimuoverlo. Il punto in discussione è un altro: che cosa possa e debba diventare la Lista Tsipras nei prossimi mesi, se essa debba dotarsi di un rigoroso programma politico delineando un proprio orizzonte di obiettivi, alleanze, eccetera, oppure debba configurarsi in modo per così dire più liquido e spontaneo. In breve: se debba diventare un partito oppure debba restare così com’è, un movimento, sia pure organizzativamente strutturato (ma ideologicamente, se non politicamente, polifonico).

Poiché ho qualche opinione in proposito, mi fa piacere esporla mettendo, come si dice, nero su bianco. Intanto un’osservazione preliminare, soltanto in apparenza di carattere personale. Che cosa mi ha spinto ad aderire sin dal suo lancio all’iniziativa del gruppo dei Garanti? La risposta è semplice: in primo luogo la sensatezza della proposta (riaffermazione della nostra identità europea nonché della nostra volontà di restare nella moneta unica ma, contemporaneamente, revisione dell’intera impalcatura comunitaria e fondazione di una nuova Europa politicamente unificata). In secondo luogo l’autorevolezza culturale, morale e politica dei Garanti, da me considerati sin dapprincipio come un «leader collettivo» di grande affidabilità, guida saggia ed equilibrata di un’iniziativa fortemente democratica ma non contrassegnata da particolari ideologismi.

Non sono stato il solo a restare affascinato dall’appeal di questo «leader collettivo» capeggiato tra l’altro da una donna di straordinario acume politico, un personaggio intellettualmente seduttivo di per sè e tanto più per il cognome che porta: Barbara Spinelli. Come ho già ripetutamente ribadito siamo stati oltre un milione di persone a votare per la Lista Tsipras; un milione di schede che non è né legittimo né sensato ascrivere a merito di questa o di quella sigla politica «associata», e neppure alla presenza di questo o quel candidato ma semplicemente alla Lista Tsipras per come essa è nata ed è stata proposta all’attenzione della gente, per il fascino che è riuscita a esercitare proprio in quanto svincolata da ogni precedente esperienza elettorale più o meno simile.
Ed eccomi di ritorno alla domanda cruciale, a quel che fare? accanitamente discusso dai candidati della Lista Tsipras nelle prima riunione post-elettorale che si è svolta sabato scorso a Roma. A me pare che mai come in questo caso il futuro stia alle nostre spalle, in quello che abbiamo fatto e nel modo in cui è stato fatto, limando appena qualche eccesso o sbavatura. Figli di un’iniziativa estemporanea, perché dovremmo smentire la nostra vocazione alla recita improvvisata e spontanea? Per me la risposta al che fare? è tutta scritta in quello che è accaduto, nell’entusiasmo con il quale in tanti abbiamo accolto l’invito che ci è stato rivolto di aderire (senza nessuna contropartita) a un progetto di progressiva emancipazione dell’Europa dal groviglio di nefaste regole in cui è stata surrettiziamente avviluppata.

Oggi troverei personalmente intollerabile far parte di un partito politico, obbedire a una disciplina, essere inserito in una gerarchia (è un’esperienza che ho già fatto, una sessantina di anni fa, e che non ripeterei per nessuna ragione al mondo). Il che, sia chiaro, non esclude affatto che la «COSA» cui è stata data vita e che ha riscosso oltre un milione di consensi possa, anzi debba darsi una più solida organizzazione, consentendo a quanti vi aderiscono occasioni d’incontro, di discussione, di socialità, capaci di contrastare quel clima di separatezza e spesso di vera e propria solitudine del quale, sopratutto il cosiddetto popolo di sinistra, si sente oggi molto spesso prigioniero.

Insomma, che cosa propongo in buona sostanza? Forse un partito-non-partito? E perché no? I tempi esigono creatività. Intanto abbiamo un «leader collettivo» (suscettibile di essere allargato ad altri nomi eccellenti che hanno scelto di votare per la Lista Tsipras) e gli altri no. Vantiamo tra i nostri rappresentanti competenza e autorevolezza e gli altri chissà. Abbiamo una casa pulita (tanto più che non è stata mai abitata in passato) e questo non può non suscitare interesse e curiosità. Inoltre, a differenza del Movimento 5 Stelle, noi crediamo fermamente che esiste una destra ed esiste una sinistra (anche se quest’ultima, al presente, appare in forte affanno); che in Europa sia giusto essere e restare alleati di Tsipras, il giovanotto greco che si batte per un’Europa migliore, tenendoci a debita distanza da Nigel Farage, razzista e omofobo; che non espelleremo mai nessuno dal nostro movimento perché ripudiamo il concetto stesso di espulsione nei confronti dei dissenzienti e anche degli «ineleganti»; che non faremo mai ricorso al turpiloquio nei confronti di qualsiasi avversario politico (compreso Grillo, come è ovvio); che non percorreremo mai a nuoto lo Stretto di Messina per mostrare quanto siamo forti, anzi maschioni.