Il Libano ha promesso ieri che pagherà subito il milione e 835mila dollari di debito che ha con le Nazioni unite, due anni di fila senza pagare che gli avevano fatto perdere il diritto di voto in Assemblea generale.

Ma il problema resta: la crisi economica in cui versa da anni il Libano è intollerabile. Lo certificano Banca mondiale («la più devastante e molteplice crisi della sua storia moderna») e Fondo monetario internazionale («la crisi più profonda dalla fine della guerra civile»), ma soprattutto lo certifica la vita quotidiana del popolo libanese.

Che ora è alle prese con un nuovo record negativo: la lira, nella sua caduta libera, ha toccato quota 50mila sul dollaro nel mercato nero. Con una svalutazione ormai ingestibile, un’inflazione alle stelle e salari pagati ancora con la valuta «ufficiale» (1.500 lire per dollaro), buona parte dei libanesi non è più in grado di pagare per i beni essenziali, non solo educazione e salute, ma anche cibo.

In un rapporto di giovedì la Fao ha indicato in due milioni i libanesi (il 30% della popolazione) non più in grado di procurarsi cibo quotidianamente. Otto libanesi su dieci, secondo l’Onu, è povero.
In una simile situazione, lo stallo politico che avvolge le istituzioni non trova tregua. Giovedì l’undicesima votazione per eleggere un nuovo presidente è andata a vuoto (Beirut è senza presidente dalla fine del mandato di Michel Aoun, a fine ottobre).

Per protestare contro l’incapacità di superare le divisioni partitiche, due deputati – Najat Saliba e Melhem Khalaf – hanno iniziato un sit-in a oltranza dentro il parlamento, in cui sono rimasti anche di notte (a lume di candela, vista la carenza di carburante per i generatori).

Per eleggere un nuovo presidente – per la legge libanese sempre cristiano maronita – servono almeno 86 voti su 128, ma l’ultima tornata si è chiusa con soli 34 voti per Michel Moawad, il candidato considerato più «popolare» ma troppo anti-Hezbollah per vincere, e 37 schede bianche, oltre a decine di voti di «protesta» (c’è anche chi ha votato Bernie Sanders).