Crisi umanitaria e bombe, la «tattica» israeliana in Libano
Medio Oriente Il bilancio delle vittime sale a 2mila, gli sfollati sono un milione. Colpita di nuovo, più volte, la capitale. Il partito cristiano di Aoun invoca l’unità nazionale, il resto della politica rimane in silenzio
Medio Oriente Il bilancio delle vittime sale a 2mila, gli sfollati sono un milione. Colpita di nuovo, più volte, la capitale. Il partito cristiano di Aoun invoca l’unità nazionale, il resto della politica rimane in silenzio
La tecnica che Israele sta utilizzando in Libano è quella della creazione di un’emergenza umanitaria come arma di destabilizzazione sociale, politica, psicologica, in piena violazione dei diritti umani, in cui i civili diventano mere pedine di una guerra combattuta su molti livelli, oltre al piano strettamente militare. Una tecnica applicata in maniera sistematica a Gaza.
IL BILANCIO dei morti è di circa 2mila (un migliaio in questa ultima fase), 9mila i feriti, un numero di sfollati non preciso, tra quelli contati dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni e quelli fuori dai registri, che sarebbero in totale di un milione. In Israele sono morte (nel conflitto con Hezbollah) 27 persone, di cui 25 soldati e gli sfollati sono circa 100mila. Nel pomeriggio gli attacchi aerei sono stati due nella periferia sud Beirut, a distanza ravvicinata.
Il primo target un appartamento tra Jnah e Ouzai, nei pressi dell’ospedale Al-Zahraa, nel tentativo di un’uccisione mirata. Anche il secondo ha preso di mira un appartamento, stavolta in un palazzo poco distante dall’ambasciata del Kuwait e vicino all’autostrada che porta all’aeroporto Rafiq Hariri di Beirut.
Prima, all’una della notte precedente, due fortissime esplosioni hanno prima svegliato e poi tenuto in allerta mezza città. Gli attacchi alla Dahieh, grande zona ad altissima percentuale sciita, la periferia a sud della capitale, sono ormai consuetudine quotidiana. Proprio nelle ore pomeridiane, mentre Israele bombardava Beirut sud, l’Iran annunciava il lancio di dozzine di missili su Israele.
Dopo lo sfondamento del confine da parte dell’esercito israeliano, due giorni fa, Hezbollah ha ieri dichiarato che l’esercito di Tel Aviv è stato respinto nei suoi tentativi di ingresso. Una guerra fatta anche di retorica, ma in ogni caso ci troviamo di fronte a un ulteriore nuovo sviluppo di questo conflitto. Israele «non ha intenzione di invadere il Libano» e nemmeno di restarci per «dei mesi», dice l’ambasciatore israeliano in Francia Joshua Zarka.
CAPIRE se questa sia retorica per l’attuale fase della guerra o un obiettivo reale è difficile. L’obiettivo dichiarato del primo ministro israeliano Netanyahu è invece quello di spingere Hezbollah dietro il fiume Litani e di distruggere le infrastrutture del partito-milizia. La risoluzione Onu 1701 del 2006, a seguito dell’invasione di terra israeliana respinta da Hezbollah, individua nel Litani il limite alla presenza di Hezbollah a sud e chiede la fine delle ostilità (andate però avanti a bassa intensità) e il ritiro di Israele che adesso si trova, ancora una volta, nella posizione di aver valicato il confine.
Ieri Israele ha annunciato la morte di un altro comandante di Hezbollah negli attacchi di ieri pomeriggio a Beirut, Mohammad Jaafar Qasir, responsabile dell’unità che trasferisce armi dall’Iran in Libano. In serata ha poi avvertito che le operazioni sarebbero continuate anche la sera. Se confermato, sarebbe un altro assassinio nei quadri alti di Hezbollah in pochi giorni. Alcuni razzi del Partito di Dio hanno raggiunto il quartier generale del Mossad e nel pomeriggio Hezbollah ha rivendicato l’attacco all’unità militare di intelligence israeliana 8200, nei pressi di Tel Aviv.
Ieri Gebran Bassil – capo del partito cristiano fondato da Michel Aoun, il movimento patriottico libero, alleato di Hezbollah e che ha espresso l’ultimo presidente della repubblica, lo stesso Aoun – ha fatto un appello all’unità nazionale. Oltre alle richieste di cessate il fuoco, la classe politica libanese rimane ancora cauta e non prende posizione pubblicamente. L’atteggiamento delle Forze libanesi, partito dell’ultradestra cristiana, nemico giurato di Hezbollah e in contrapposizione con Bassil, è quello forse più esplicito di una certa compiacenza nel vedere il rivale in estrema difficoltà.
Quello di ulteriori spaccature e polarizzazioni all’interno della politica libanese è un altro pericolo che corre il paese, in un momento che comporta certamente un ribilanciamento di forze nella regione, ma anche necessariamente all’interno del Libano.
«UNA GUERRA TOTALE deve essere scongiurata a tutti i costi, la sovranità e l’integrità territoriale del Libano devono essere rispettate», ha detto in un comunicato Stephan Dujarric, portavoce del segretario generale delle Nazioni unite. La diplomazia arranca e sia quella francese (che ha mandato il ministro degli esteri Jean-Noël Barrot domenica sera a Beirut) sia quella statunitense con i ripetuti appelli inascoltati e le dichiarazioni di Biden per un cessate il fuoco immediato, non hanno portato a casa importanti risultati.
Intanto ieri il ministro ad interim dei Trasporti, Ali Hamiyeh, ha annunciato la chiusura temporanea dello spazio aereo per due ore alle nove locali di ieri sera, dopo il lancio iraniano di missili su Israele.
Belgio, Paesi bassi, Turchia e altri paesi organizzano i rimpatri dei propri connazionali non essenziali in Libano. I voli commerciali sono tutti prenotati ed è difficilissimo trovarne uno prima di una settimana almeno. In questo momento in Libano è un’eternità.
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