Ancora qualche giorno e poi arriverà il «vero inverno» scrivevano il 3 gennaio, virgolettando l’espressione, i portali che si occupano di previsioni meteorologiche. Forti nevicate sono attesa tra l’otto e il 14 gennaio. Sorrideranno i gestori degli impianti di risalita, ma ormai sappiamo che questa neve servirà non tanto a far partire il turismo invernale legato allo sci di discesa, quando a ridurre il deficit d’acqua per la prossima stagione primaverile ed estiva.

Lo spettro della scarsità di risorse idriche agita ormai ogni primavera, perché – come spiega il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici – «negli ultimi decenni la durata e lo spessore della neve si sono fortemente ridotti così come lo stock idrico nivale che si accumula ogni anno a fine inverno» e «i ghiacciai hanno già perso dal 30 al 40% del loro volume». La neve che arriva non è in ogni caso una garanzia: «La durata della copertura nevosa nei fondovalle e sui versanti meridionali fino a 2.000 metri si ridurrà di 4/5 settimane e di 2/3 settimane a 2.500 metri» spiega ancora il documento consultabile sul sito del ministero dell’Ambiente.

Che aggiunge: «È soprattutto per la presenza di neve e ghiaccio che le montagne sono considerate “water towers” capaci di fornire acqua ai territori a valle e alle pianure compensando la riduzione delle precipitazioni estive tipiche dei climi italiani». Il bacino pagano dipende dalla fusione di neve e ghiaccio per il 50-60%. Sono due i fattori principali che concorrono a determinare l’accumulo di neve: temperatura e precipitazioni. Hanno un ruolo cruciale e sinergico, e nell’inverno 2023/2024 per il momento non hanno assolutamente collaborato. Lo scorso dicembre la temperatura media minima è stata di 4,6 gradi e la massima di 12,7; la temperatura massima assoluta ha toccato i 21,1 gradi.

«Costruire il manto nevoso è un lavoro di squadra che richiede la persistenza di condizioni fredde e umide», spiega Francesco Avanzi, ricercatore dell’ambito Idrologia e Idraulica di Fondazione Cima (Centro internazionale in Monitoraggio ambientale). «L’accumulo di neve è come una maratona, cioè la neve deve aver modo di accumularsi in modo costante, in tempi relativamente lunghi». La Fondazione a metà dicembre misurava un deficit nazionale di neve pari al 44%, situazione che può anche modificarsi in modo sostanziale ma è comunque spia di un grave problema.
Se poi non ci limitiamo a guarda all’uomo e alla montagna con occhio antropocentrico, il problema è anche che «il ritardato inizio delle nevicate autunnali ha un impatto sulla sopravvivenza, con saldo complessivo negativo che si traduce nel declino delle popolazioni» della fauna che vive nei boschi.