L’indipendenza a rischio e le logiche di spartizione
SALONE DEL LIBRO Il comitato direttivo abbassa i toni. «È ora di concentrarsi sull’edizione 2023»
La contesa che aleggia sul Salone del Libro di Torino non sembra placarsi. Dopo la mancata nomina di chi dirigerà per il prossimo triennio la kermesse (la 35ma edizione che si aprirà il 18 maggio sarà l’ultima per Nicola Lagioia), nella tarda serata di ieri il Salone ha fatto sapere della effettiva conclusione della procedura (ma la direzione ancora non c’è), auspicando di poter mantenere il carattere pluralista e internazionale dell’evento.
Facciamo tuttavia un passo indietro: in seguito al rifiuto di Paolo Giordano, cui era stata proposta la guida al Lingotto accanto a Elena Loewenthal, i malumori si sono moltiplicati quando lo scrittore ha sostenuto di non avere «condizioni di indipendenza e serenità con cui iniziare un percorso così importante». Tuttavia il punto vero è ciò che lo scrittore specifica: «ho avvertito che non ci sarebbe stata una piena libertà nella mia gestione di direttore. Si sono poi aggiunte delle richieste di presenze dell’area di destra nel comitato editoriale, non scelte da me ma imposte». Le precisazioni arrivano da Giulio Biino, presidente del Circolo dei Lettori e coordinatore del comitato direttivo, attraverso il puntuale pezzo sulle pagine de La Stampa di ieri, secondo cui vi sarebbe stata «una garbata richiesta del ministro della Cultura» a proposito di alcuni nomi da inserire nel comitato editoriale del Salone. Motivo questo che ha ulteriormente acceso gli animi giacché Biino ha aggiunto che il Mic «finanzia il Salone attraverso il Centro per il Libro e la Lettura».
TRA LE PRIME REAZIONI quella di Silvio Viale, presidente dell’Associazione Torino, la Città del Libro: «Alle dichiarazioni fatte a mezzo stampa dal Coordinatore del Comitato Direttivo (cioè Biino) rispondiamo che la nostra posizione è e rimane quella dell’indipendenza». Eppure, il sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi, non crede ci sia stata nessuna ingerenza. Della stessa posizione è anche Francesco Giubilei, consigliere del ministro Gennaro Sangiuliano, chiarendo che «il Mic non ha nessuna posizione nel cda del Salone del Libro di Torino né potestà di alcun genere sulla manifestazione». E prosegue: «lo scrittore Paolo Giordano dovrebbe spiegare perché non può collaborare con persone della caratura di Pietrangelo Buttafuoco, Alessandro Campi e Giordano Bruno Guerri».
In una nota congiunta, intervengono anche Pd, Avs, +Europa: «La destra oggi al governo, dovrebbe rispettare regole, competenze, metodi di selezione. Quel merito che è sempre al centro delle loro dichiarazioni, ma che non trova riscontro nella pratica, che si tratti della Rai, del Festival di Sanremo o del Salone del libro di Torino. Chiederemo al ministro Sangiuliano di rispondere su quanto sta avvenendo. Ai cittadini torinesi, agli editori, a chi ama la cultura, a chi ama i libri interessa sapere una sola cosa: servono direttori ’bravi’ o servono direttori ’vostri’?». Intanto il sindaco di Torino Stefano Lo Russo non nasconde un «profondo disagio» e Alberto Cirio ribadisce l’importanza di un Salone «pluralista».
DIFFICILE appassionarsi a questo ginepraio in cui si smarrisce il pegno d’amore che migliaia di persone accordano ogni anno al Salone del Libro di Torino. Lasciando invece emergere trame talmente intricate da essere fin troppo interne, soprattutto lontane dal popolo ostinato di lettrici e lettori. In un mondo fuori misura, forse basterebbe considerare di avere maggiore contezza di sé stessi e della propria esperienza, perché nonostante il ruolo di prestigio che la direzione di un evento così importante comporta, occorre il senso di svolgere un servizio che necessita dedizione. Quella che anche ieri la nota ufficiale da Torino, abbassando i toni, ha inteso segnalare: «La squadra del Salone, in tutte le sue componenti, sta lavorando all’edizione 2023 e ha necessità di concentrarsi al meglio per rendere questo appuntamento all’altezza delle aspettative della grande comunità del libro». In poche parole una richiesta legittima: lasciateci lavorare.
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