Non c’è granché da festeggiare davanti ai dati presentati ieri al Salone di Torino dall’Associazione italiana editori sull’andamento del mercato del libro nei primi mesi del 2024. Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso le percentuali portano quasi senza eccezioni il segno meno, e non basta, a compensare l’impressione di un generale declino, il confronto positivo con il 2019, preso abitualmente come punto di riferimento dell’ormai remota epoca pre-covid.

SE L’INDUSTRIA DEL LIBRO si descrive complessivamente «solida», secondo le parole di Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Aie, il terreno appare «fragile» (ancora Cipolletta) in «un Paese dove si legge troppo poco, caratterizzato da forti diseguaglianze negli indici di lettura, soprattutto tra Nord e Sud, un tema su cui serve un forte intervento pubblico». Tasto dolente da sempre, quello dell’intervento pubblico, e ora più che mai. Il dubbio, dichiarato esplicitamente dal presidente dell’Aie, è infatti che ad alimentare, se non a determinare, questa flessione (del 2,2% in termini economici, del 3,5% se consideriamo le copie vendute) sia stata l’eliminazione o lo stravolgimento di misure di sostegno all’editoria come il fondo speciale per le biblioteche e la vecchia App 18, trasformata nella Carta Cultura Giovani e del Merito.

Potrebbe essere un indizio significativo in questo senso il calo notevolissimo nelle vendite dei manga (–18,4% rispetto all’anno scorso), ma per la verità è il quadro complessivo ad apparire debole: si pubblicano meno novità (– 4,6%, se prendiamo come riferimento il 2023, addirittura –11,4% in confronto con il 2019), e i dieci titoli in cima alle classifiche tra gennaio e aprile 2024 (sette dei quali, detto non troppo per inciso, appartengono alla galassia mondadoriano-berlusconiana) hanno venduto 90mila copie in meno rispetto ai dieci best seller del primo quadrimestre del 2023 – il che, tradotto in denaro, vuol dire un calo di 2,5 milioni di euro a prezzo di copertina.

E pure l’aumento consistente delle vendite di libri italiani (+ 1,3 %), soprattutto nel campo della narrativa (+ 8 %), presentato nel rapporto Aie come un successo della nostra «autorialità», potrebbe essere semplicemente lo specchio di una minore disposizione, da parte delle case editrici, a investire nell’acquisizione di titoli stranieri, più onerosi anche per le spese di traduzione. Idem per l’exploit del romance, versione fluida e contemporanea del rosa, che registra un poderoso + 9% e un sorpasso delle romanziere italiane (ormai il 52,6%) sulle straniere, fino a poco tempo fa dominanti: qui a giocare è l’effetto Erin Doom (pseudonimo di una giovane autrice emiliana, per ora nota solo come Matilde), che dal 2021 con Il fabbricante di lacrime ha venduto oltre 700mila copie, dando di fatto il via a una fabbrica autarchica di romanzoni consimili, nel tentativo di emularne la riuscita. Niente di male, forse: da sempre gli editori, individuato un filone, cercano di spremerlo fino all’osso. Resta da vedere quanto durerà.

NON SONO CERTO le premesse migliori per la Fiera di Francoforte 2024, dove l’Italia è paese ospite: come sempre in questi casi, l’avvenimento è in programma da anni, ma ci si arriva ansimando, e non soltanto per l’andamento poco positivo del mercato editoriale. Manca ancora un calendario definito (sarà reso pubblico il 28 maggio) e il video promozionale, visibile nel sito dedicato alla presenza italiana alla Buchmesse, è una girandola di luoghi comuni che rimasticano la vecchia immagine del «paese di poeti, santi e navigatori», ma poco dicono del nostro sistema editoriale. E sì che, analizzando quella che il rapporto Aie definisce la «internazionalizzazione dell’editoria italiana», i dati sui diritti venduti all’estero sembrerebbero incoraggianti. Il condizionale è tuttavia d’obbligo perché le cifre si fermano al 2022, e se è evidente che rispetto al 2001 i libri italiani hanno una diffusione molto maggiore (i titoli venduti sono passati da 1800 a 7889), negli ultimi anni la crescita rallenta, e anzi rivela un calo, neanche troppo contenuto, dopo il picco registrato nel 2019, quando i diritti venduti hanno interessato 8569 titoli.

CHE NON MANCHI, però, l’ambizione di uscire dai confini nazionali, lo dimostra una tabella del rapporto presentato ieri, quella relativa alle case editrici che hanno acquisito o creato società estere. Nessuna sorpresa per i grandi gruppi (Mondadori, Feltrinelli o GeMS), i cui intrecci internazionali sono antichi e consolidati, più interessante la presenza di sigle ormai non più piccole, ma certo operanti su una scala diversa, come e/o, da tempo attiva in diversi paesi, e soprattutto Mimesis (oggi presente sul mercato francese, tedesco e anglofono) e L’orma, che ha esteso il suo raggio d’azione alla Francia.
Sotto questo profilo la vetrina della Buchmesse potrebbe rappresentare un’opportunità notevole anche per altri marchi. Viste le premesse, c’è da augurarsi che non sia un’occasione sprecata.